Ultimo-ismo:agnosticismo

Alessandro Mendini, 2007

In questo tempo il design è privo di FIGURA. Intesa come visibile affermazione di dignità rituale, di carisma. Il design agnostico sfugge e scivola nel limbo dei gadget, nella moltitudine delle assenze. Non solo gli oggetti, ma anche le tecnologie, i mestieri, i comportamenti, i materiali. Tutto il mondo è concepito come un enorme fragile eppure violentissimo gadget. L'ultimo "ismo" del design (e dell'architettura) vuole essere uno spensierato AGNOSTICISMO (diverso è il caso dell'arte). Spensierato perché privo di pensiero motivante. Il vero movente motivante è solo quello macroeconomico. Lo scenario è pulviscolare. La polverizzazione delle discipline dell'immagine esplode in miriadi di sotto e infra professioni, il cui moltiplicatore origina un gigante acefalo: il nuovo sistema del design. Un enorme bulimico magma indifferenziato, una fitta nebbia non ossigenabile. Le nuove mille attività virtuali ridondano di azioni prive di obbiettivi. L'aberrazione quantitativa dell'accesso alle notizie e alla conoscenza, unita all'astrattezza iper-terziaria delle professioni crepuscolari, rende piatta la linea energetica delle creazioni. Lavoro uguale gadget, uguale a mancanza di responsabilità. Dentro a questo spensierato (oppure cinico) modello di riferimento si devono però cercare, trovare ed agire delle prese di responsabilità. E precisamente: estetiche, umanistiche, antropologiche, sociali. Abbandonare le immagini tutte esterne, prive di VISIONE. Addio all'allegro parco di oggetti, tutti e solo giochi dalle vacue fantasie. Addio alla dilatazione del design a tutto lo scibile. Addio al fatalismo. E nel considerare questo enorme sistema si distinguano le discipline fondamentali da quelle di servizio: tutte sono degne, ma gli obbiettivi sono divaricati. Al centro il grande enigma della permanenza della FIGURA, della artisticità del design. Allora in questa neutralizzazione degli obbiettivi del design contemporaneo, privato di ambizioni, dimesso, desemantizzato, destrutturato, manca evidentemente qualcosa. Ed è quel qualcosa che manca in questa epoca anche agli scenari più vasti e generali rispetto a quello del design. Non è detto che tutto debba diventare politica o scienza o anche (più in piccolo) che tutto debba diventare design. Ma invece tutto deve diventare UTOPIA. La sopravvivenza del mondo è legata tutta e dovunque (occidente e oriente) alla emersione dal capitalismo e dal tecnologismo, di grandi utopie umanistiche. Ipotesi e intenzioni di modi di pensare alla vita sub-specie mitologica, simbolica, emozionale. Ridefinizione del senso degli oggetti, del senso dei linguaggi e dei modi di usarli e produrli. La pulviscolarità dei modelli di comportamento, la loro disponibilità infinitesimale, questa frammentata nube organigrammatica può assumere un senso progettuale tale da tradursi in nuove conformazioni, in nuove presenze interiori, in COSE FERME, e non aeriformi,capaci di emettere energie antropologiche e rituali. E' il tempo dove non si crede, dove tutto scivola in orizzonti di indifferenza progettuale, elaborata in uno stato di solipsismo. Lo sguardo resta basso, l'orizzonte è corto e privo di teorizzazioni. Si fa, ma non si sa cosa si fa. Addio alla ricerca del carisma dell'oggetto, della sua mitologia e dignità della sua vita. Il disegno iconico non può disperdersi nella neutralità ottica, assunta come fine. Occorre il segno, la PRESENZA dedicata ed esoterica. Le cose non possono nascere con già inclusa la loro aura di spazzatura, in una condizione di implicita volgarità dell'uso. Le sfere da chiromante, le lampade da tavolo a forma di Tour Eiffel e i Pinocchi di legno sono importanti feticci per il mito del nostro quotidiano. Sono quelle le normali meraviglie del design. Legate al nostro destino umano contengono l'energia de-progettuale del racconto, esistono e non si chiamano design. La silenziosa amorevole forma e presenza delle COSE VERE nella loro immutabile sciamanica storia infinita. Da vari anni, ed ora in particolare, si usa fare censimenti sul design che si trasforma. E' bene rilevare gli stati di fatto, favorire l'esplicitazione delle tendenze generali di sviluppo. Ma la tendenza generale di una condizione professionale raramente coincide con le più sottili e nascoste tensioni di trasformazione, che sono latenti, nascoste, e vanno cercate in luoghi strani e difficili e vanno valorizzate in modo mirato. E' lì che si deve cercare, se si vuole ritrovare la strada perduta dell'utopia nella grande misura della storia. E' un atto di panteismo. Se un oggetto non viene sacralizzato non assurge a dignità di cosa, non si omologa con l'anima (e con l'eleganza) della natura. Le immagini delle cose e dei gesti sono latenti dentro di noi. Sono dilatate e affidate alla lenta misura del tempo. Quel tempo e spazio dove gli oggetti divengono "cose", e dove il modo del progettio recupera il suo senso. L'elemento coagulante di una nuova coscienza, di un nuovo stile metodologico potrebbe emergere dalla coscienza della fragilità dell'uomo, dall'idea della delicatezza delle cose.