Sergio Asti

Alessandro Mendini, 2007

Sergio Asti è tuttora, ed è sempre stato, un instancabile inventore di forme. Metodico e preciso, ha attinto dalla propria sensibilità, dal rapporto con le tradizioni, e dal DNA del Bel Design italiano gli elementi che ne fanno un magico giocoliere di silouettes degli oggetti da lui disegnati. Il suo impegno sulla forma è costante e assoluto, sembra quasi mirare alla classificazione di una specie. Non solo delle forme, ma anche dei materiali, dei colori e delle loro precise tecniche. Questo caso delle ceramiche disegnate per Superego con la serie "TokI" si inscrive nel panorama, nella ricerca infinita cui ho accennato. I nomi di queste grandi ceramiche sono più astrazioni che descrizioni: "Angkor", "Bkk" , "Jaipur", "Katmandu", "Kyoto", "Nara", "Sarnath". Indico questi nomi perché la loro scelta e il loro accostamento mostrano la non temporalità delle scelte e delle datazioni, in un elenco continuo dei volumi di Asti che forse, invece che per progressione temporale, potrebbe essere pensato in ordine alfabetico: tanta è la logica combinatoria e consequenziale del suo sistema di silouettes. Ed anche in questo caso (come in altri mirabili casi, ad esempio anche col vetro), ecco la sequenza dei colori e delle lucentezze: nero, argento, oro, blu china, rosso, bianco... una vasta collezione, un'opera importante non solo per la qualità dei singoli pezzi, ma anche per la concezione sintetica del suo insieme. Totemici e tubolari, questi pezzi torniti dall'aspetto di sagome sovrapposte sono frutto di idee nate alla fine degli anni ottanta, e di quegli anni mantengono la verve. In più visti e riproposti oggi, ci appaiono come appena disegnati. Ed anche questo fatto dimostra la sottile, raffinata e persistente ricerca di Sergio Asti nel mondo poetico delle forme e dei simboli del design.