Venini

Alessandro Mendini
Febbraio 2008

Un tramonto a Venezia. Un cielo, un'atmosfera. La superficie mossa dell'acqua che vuole simulare l'incanto dei colori del vetro di Murano: un vetro nato prima della natura.
Una città che sembra copiata dai riflessi del suo vetro. Da sotto la Basilica di San Marco guardiamo ammirati i quattro cavalli di Costantinopoli, eleganti, stilizzati, possenti.
I signori della Venini mi dicono: perchè non ci disegna un cavallo? Un cavallo veneziano in vetro? Io ci ragiono per un anno, e poi lo disegno. Ci penso tanto, perché il cavallo nell'arte italiana ha una lunga storia. Questo animale bellissimo, questa forza nervosa.
Dall'ellenismo, a Pisanello, De Chirico, Aligi Sassu. Eccetera. E poi penso più in particolare ai cavalli nei tornei di Paolo Uccello, schematici, primari, monocromi, monumentali, pesanti, sembrano gonfiati, come di vetro opalino. Ma penso anche ai cavallini dei giocattoli, ed ai nobili piedistalli delle statue equestri, e ai circhi equestri. Venini, come sempre, risponde al mio disegno in modo magistrale, con il suo proverbiale virtuosismo alchemico. Un lavoro difficile, da maghi.
Vetro soffiato, una sequenza di dodici bolle allungate, leggere, collegate a caldo. Il ricordo rovesciato del peso di Paolo Uccello o dei bronzi di San Marco. E poi colori, colori, e una base di appoggio imponente. E' arrivato così dopo un anno di pensieri e di disegni, il mio nuovo “Cavallino di Venini”. Una esperienza emozionante.