Pane e Progetto

Alessandro Mendini
2008

1- Prima mi sono iscritto a ingegneria (Politecnico di Milano), poi ad architettura. Laurearmi è stato un incubo, non mi piaceva, lo ho fatto per mia madre, volevo fare il cartoonist. Miei personaggi erano Walt Disney, Saul Steinberg, Ingmar Bergman e Kierkegaard. Riferimenti, non idoli. Mio idolo era il mondo della pittura delle avanguardie storiche. Fui compagno di scuola di Aldo Rossi e di Joe Colombo e sono coetaneo di Paolo Portoghesi. Ma ciò vuole dire poco. Ho voluto bene a Ernesto Rogers e a Gio Ponti, ho ammirato e conosciuto bene Piero Manzoni e Lucio Fontana. Importantissimi per me i fratelli Savinio e De Chirico, poi l'abbonamento al Teatro alla Scala durante l'università e la casa dei miei genitori disegnata da Piero Portaluppi, il preside autoritario della Facoltà. Per il resto, molta solitudine e mentalità autodidattica.
2-Ho fatto una tesi di laurea insignificante con un professore altrettanto insignificante: un ipotetico edificio per uffici vicino a San Babila a Milano. Non ero in gruppo, ero da solo, in quel periodo facevo il verso al neo liberty, ma l'unica soddisfazione di quella tesi è stata quella di disegnarla a china su carta da lucido. A quei tempi disegnavo con riga e squadra in maniera davvero virtuosa, e perdermi dentro il nirvana di quelle tavole ricamate e senza senso era una grande esperienza interiore.
3-Mi sono laureato tardivamente, e a trenta anni non conoscevo proprio una mia possibile strada. Sono arrivato così allo studio Nizzoli, poi a Casabella.
Da lì ho contattato gli Archizoom, Ettore Sottsass,tutti i radicali italiani e no e sopratutto Sandro Guerriero che aveva Alchimia. E' con i gruppi di Casabella e di Alchimia che ho intravisto poco a poco la mia strada, ed è per illustrare le mie prime copertine di Casabella che ho realizzato la serie dei miei “oggetti ad uso spirituale”, terra, paglia, bronzo.... Ho capito che la mia indagine si sarebbe svolta nello scenario delle utopie, con particolare attenzione alla religiosità. Fra i molti campi di ricerca, quello sul design e sull'architettura banale mi hanno condotto a pensare alla “Poltrona di Proust”, allo stridore dei toni, alla pittoricità dei colori e alla formulazione di alfabeti visivi.
4- Entrai a Casabella per sistemare gli archivi, e ne divenni direttore: fu la mia vita radical. Poi inventammo Modo: fu la mia vita infradisciplinare. Poi Pierre Restany mi invitò a dirigere Domus, e fui chiamato da Giò Ponti: fu la mia vita postmoderna. Cinque anni per ciascuna rivista. Progettare riviste era una passione molto congeniale. Intanto collaboravo come ospite nello studio con Alchimia, ma quando mi furono affidati i progetti della casa privata di Alberto Alessi e il Museo di Groningen aprii lo studio professionale con mio fratello Francesco, pure architetto. Il passaggio del testimone con Ponti fu particolarmente affettuoso, si svolse fra noi due soli, nel suo salotto, con una bottiglia di champagne.
5- Avrei potuto comunicare con la scrittura le stesse cose che esprimo con le immagini. Comunque per me ogni progetto è una tesi da dimostrare, e viene preceduto e accompagnato da testi e diagrammi. Data la mia lunga attività di teorico dentro alle riviste, il mio progetto è sempre letterario. Del resto anche gli alfabeti visivi e gli stilemi sono simili a scritte decorative sopra alla superficie degli oggetti. E poi la sequenza continua degli schizzi, per me fondamentali.
6- I miei rapporti con i tanti autori con cui ho lavorato (artisti, designer, architetti) e con industriali, enti, artigiani e produttori sono iniziati quando facevo le riviste, ed allora non si traducevano in lavoro. Poco a poco ho iniziato a progettare con alcuni, con molti di loro, sulla base di affinità di intenti culturali. Non ricordo di essere andato mai da qualcuno con in mano un disegno da proporre. I miei contatti sono affidati alla sorte, un po' come meteore o parabole, un patchwork.
7- Il mio modo di lavorare e di pensare è metodico, tutto procede lento e organizzato, le cose sono studiate e discusse. Per ottenere ciò ho bisogno di due anime. Quella introversa rivolta verso di me, profonda e isolata: schizzi, scritti, organigrammi, letture e studio. E quella organizzativa e discorsiva, legata alla discussione e alla realizzazione dei progetti. Perciò il mio tempo è diviso fra questi due modi. Ho coordinato molti gruppi e centinaia di persone, ma quasi mai questo è avvenuto dentro alle scuole. Così come per le riviste, anche creare gruppi è una mia passione, che mi restituisce molto.
8- Ciò che ho fatto, pur nella eterogeneità e nell'eclettismo dispersivo dei generi dei miei progetti, non poteva avvenire se non attraverso gli studi compiuti di architetto. Se devo parlare di scuole, credo che tre anni per una persona non siano abbastanza ad inquadrare il minimo dei metodi e di nozioni, e a decantare una cultura e una responsabilità che si trasformi in scelte autonome. Oggi internet forse dà di più. Le scuole poi hanno il vizio intrinseco di essere degli strumenti finalizzati alla sopravvivenza degli insegnanti e non alla formazione degli studenti. Dopo tre anni di scuola burocratica, allora, comincia per lo studente un tirocinio autodidattico il cui obbiettivo è conoscere se stesso e misurarsi con il mondo e con il progetto.
9- Se mi si vuole fare parlare dei progettisti più recenti, penso che il loro vizio sia nell'errore di obbiettivo: anzichè mirare a risultati antropologici e umanistici, i progetti oggi si affermano ed hanno fortuna in base al virtuosismo delle tecniche e dei materiali. Questa strada è pericolosa per il futuro dell'umanità, tanto se è percorsa a misura industriale, quanto se si svolge a livello artigianale. Le definizioni e i modelli di design sono tante, quasi tutte motivate e opportune. Ma guai se vince il globalismo tecnologico, con il suo stupido formalismo merceologico. Arte-design, un altro binomio pericoloso. Allora, tutto è possibile, ma se osservato attraverso le lenti critiche di un nuovo radicalismo e di una etica necessaria, autocritica, innanzi tutto. E' in questo difficile e complicato contesto che si inseriscono le nuove professioni del design e dell'architettura.
11- Il mio lavoro è simile a un romanzo, dove convivono serietà, dolore, commedia e poesia. I miei oggetti sono i personaggi tragicomici di questo contesto. L'ironia serve a non renderli retorici, a renderli affettuosi e un poco umani, a sfuggire l'accademia.