Ettore Sottsass

Alessandro Mendini
Gennaio 2008

Quella di Ettore Sottsass non è stata una doppia vita, come quella di chi progetta per l’industria e poi sfoga il suo moralismo in romantiche utopie. La grande visione di Sottsass è stata compatta, egli non ha contrapposto l’ipotesi industriale con quella artigianale.
Pensando ad ambienti fatti di oggetti “pop” e totemici, vagamente robotizzati, egli ha giocato su forme adatte a una visione, lieve della vita e del lavoro d’ufficio, svincolati dal retaggio di fatica e di alienazione, una specie di vita domestica dove lavorare in pantofole ascoltando la musica, al comando di automatismi in grado di svolgere mirabili esercizi telematici, quasi dei video-giochi da adulti.
Il linguaggio che Sottsass ha applicato nel design dei suoi oggetti, così come nei vasi, nei mobili e nelle architetture, li rende omologhi anche ai terminali dei templi indiani e alle case delle isole mediterranee.
Una enorme quantità di poesia nel mondo di Sottsass: la sua è stata una vocazione a reperire nel moderno le presenze ancestrali, l’arcaico futuro di esseri viventi in un difficile futuro. Sottsass grande e positivo utopista e umanista.