Karim Rashid

Alessandro Mendini
Giugno 2008

Il primo e vero soggetto di tutta la vastissima attività creativa di Karim Rahid è il progetto di sé medesimo, della propria figura fisica e del proprio aspetto mediatico. Si può cioè affermare che Karim sia un “designer performatico”. La sua presenza fisica è la dimostrazione vivente del suo progetto, è il concentrato visivo attraverso il quale conoscere le sue teorie. Le sue architetture, gli interni, gli oggetti sono le scene all'interno delle quali Karim pone se stesso come protagonista. Ma non proprio se stesso, piuttosto “il design di se stesso”. Tattiche e strategie di una guerra, di una guerra filosofica.
Per Karim tutto il mondo è un sistema continuo di palcoscenici da lui pensati e progettati, secondo un'idea di arte totale, di animismo delle forme. Coloratissimi, fluo, lucidi e specchianti, tendenti al rosa e al bianco. La loro immagine parte da quella degli anni '70, trasformata in un nuovissimo e futuribile sistema di luoghi astronautici, immobili e astratti nel nero dello spazio siderale, dove la presenza essenziale è la cosmesi della propria immagine. Siamo immersi nel Karim Space! Telefoni bianchi, moquette azzurra, piscine. Tutto il cosmo allora è una catena di cellule-palcoscenico moltiplicate all'infinito, tutte da lui, e solo da lui pensate e progettate. Verner Panton, Joe Colombo e Roberto Bonetto da un lato, Morris Lapidus dall'altro lato sono i lontani referenti amati da questo ossessivo divoratore e invasore di immagini. Così come un altro amato precedente di questo estroverso personaggio è lo Studio Alchimia, che operò a Milano negli anni '80. Alchimia pure pensava ad una invasione globalizzante di decorazioni, ad una cosmesi universale che si sovrapponesse ad ogni oggetto, ad ogni mobile, ad ogni abito, ad ogni spazio e architettura della terra. Ed ecco allora da parte di Karim il lungo e metodico elenco di immensi e completi cataloghi di oggetti, dove l'assunto è quello di progettare tutto:“voglio cambiare il mondo”. Sedie, cucchiai, tessuti, occhiali, stazioni, alberghi, negozi, televisori, orologi, scarpe, bicchieri in ogni punto del mondo... Mosca, Singapore, Napoli... Karim è proprio un “caso”: questa attitudine ecumenica lo rende oggi un fenomeno unico ed estremo. Metodico, esatto e teorico è il suo approccio. Il suo obbiettivo è l'occupazione dei luoghi segnandoli con il suo stile digipop, con i suoi stilemi cabalistici e neo-psichedelici, ricchi di memoria e di evanescenza. In ogni suo lavoro egli sembra dare una dimostrazione diretta e quasi diagrammatica del suo modo di procedere, della metodologia sottesa alle sue visioni ed alla sua ricerca. Ed anche sempre del suo ottimismo. Spesso il suo spazio esprime un simbolo caleidoscopico e cabalistico, è assieme una figura chiusa e aperta, che si condensa e si dilata all'infinito. Applicare a questa struttura prospettica e dinamica il “catalogo” dei suoi stilemi e colori, è per Karim il modo di proporre un mondo onnicomprensivo, generato e definito tutto all'interno del proprio gioco. Una invenzione e un comportamento autoreferenziale. Ed ogni suo edificio, ogni sala pubblica, ogni spazio si dichiara come presenza visiva ad alta concentrazione energetica sviluppata su un intreccio moltiplicatorio di alfabeti espressivi. Ogni suo ambiente perciò, anche se definito dalle vere funzioni richieste e dalle presenze di veri oggetti, è di fatto un giardino linguistico, un “hortus conclusus”, un paesaggio estetico tutto centrato sulla forza della sua esasperata impermeabilità. Virtuosismo ed illustrazioni pittoriche estreme e portate al limite di tutte le possibilità combinatorie. Tutto avviene all'interno dell'ossessivo bisogno di Karim di generare visioni utopiche, capaci con la loro attitudine cosmetica di invadere tutti i possibili spazi, luoghi e superfici con intrecci ora optical ora ironici, dove alto è il desiderio di suggestione psichica ed anche psicanalitica. La violenza, la generosità e il narcisismo di occupare con i suoi segni ogni più grande e più piccolo elemento del mondo. L'accelerazione dei tempi - che fa scadere ogni valore nello stesso istante in cui viene proposto - ci mette di fronte a un modo particolare di intendere le cose, quello della fantasia estesa a tutti, solo decorativa, ripetitiva. Ogni nuovo disegno è sempre e solo un “Ridisegno”: tutte le forme e i colori del cosmo appartengono a un flusso senza fine, un magma pulviscolare che uniforma i corpi, i vestiti, gli oggetti, gli edifici, le superfici. L'essenza del suo lavoro non sta nei limiti e contorni specifici e disciplinati dei progetti di design ma è invece l'invenzione di un progetto di vita. Karim non compie un lavoro perimetrato, ma invece sviluppa un progetto di riti pagani, di cerimonie del lusso, di affetti improbabili, di comprensioni, che assume il design come mezzo per esprimersi, per risolvere con una visione sintetica il difficile enigma non solo delle forme, ma anche della contemporaneità.