News archive 2010
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Restauro e  restiling radicale di tutto il complesso architettonico, progetto di Alessandro e Francesco Mendini.
Inaugurazione Sabato 18 Dicembre 2010
- Groninger Museum, Museumeiland 1, Groningen

Collezione di mobili di Alessandro Mendini
16 Settembre - 12 Novembre 2010

Padiglione per il Seoul Design Fair, progetto di Alessandro e Francesco Mendini.
Olympic Stadium, Seoul - Corea
17 Settembre - 7 Ottobre 2010

Mostra a cura di Alessandro Mendini, progetto allestitivo di Luca Scacchetti.
Abitare il tempo, Verona
16 - 20 Settembre 2010

Casa d'arte futurista Fortunato Depero
via Portici 38 Rovereto
8 maggio2010 - 19 ottobre 2010

Quali cose siamo



TRIENNALE DESIGN MUSEUM
Terza interpretazione. Quali cose siamo.
27 marzo 2010 - 27 febbraio 2011

Direttore: Silvana Annicchiarico
Cura scientifica: Alessandro Mendini
Progetto dell'allestimento: Pierre Charpin

La Triennale Design Museum

Viale Alemagna 6 Milano

 

 

 

 
















Terza interpretazione. Quali cose siamo.

La selezione per il Terzo Museo è costituita da oggetti, parti di oggetti, immagini, testimonianze, materie, utensili, situazioni, storie. Un gioco ibrido con sottostrato antropologico. Il tutto a formare un panorama movimentato, con salite e discese, con ritmi, segnali, dissonanze e supposizioni, e anche con labirinti. Un insieme di interferenze, di memorizzatori, di evidenziatori, di catalizzatori. Ma l'obbiettivo, la linea guida di questo panorama è l'evocazione del romanticismo di una nostalgia latente: ovvero che un oggetto "consapevole" sia un'arma degli angeli. Una missione?
I luoghi di ogni parte in Italia, i libri le riviste e i cataloghi, le fiere i negozi le gallerie e i musei, i designer gli architetti e gli artisti, le industrie e gli artigiani sono i punti dove sono state cercate e trovate le "cose" che compongono la collezione di questo Terzo Museo. E il Terzo Museo non è una semplice passerella, perché ogni oggetto richiede la sua fatica, una particolare attenzione. Questo viaggio, questa visita fra gli "oggetti italiani" è basata su questo sillogismo: design è un oggetto che si assume le sue responsabilità, ogni oggetto deve essere responsabile, ogni oggetto responsabile è design. Ma di quale responsabilità si tratta? Si tratta di responsabilità "e basta". Mille e diverse e possibili responsabilità. Nessun oggetto "spensierato", ma invece tutti oggetti dimostrativi e motivati. Se questo è il criterio selettivo, se in questa umanità cosciente stanno le caratteristiche radicali della scelta, la tipica storia del design italiano (e non solo) si dilata verso grandi spazi diversi dall'usuale. Se si parla di umanità come metodo di lavoro, allora un altro metodo parallelo è quello di lavorare per intuizione. Una scelta, una selezione soggettiva. Una ipotesi un po' morale nei contenuti e un po' istintiva nel progetto. Una ipotesi cosciente della sua parzialità. Si è posto lo sguardo sull'intensità degli oggetti concepiti quali racconti, quali elementi "caldi" della storia delle persone, come diceva Savinio: "Casa la vita". Allora si è sciolta la struttura dura della terminologia omologata (innovazione, sostenibilità, ecologia, eccellenza, riciclo, didattica) e si è insinuata l'esigenza di altre espressioni destrutturate, una terminologia più "vagante". La bravura solitaria, la capacità nell'isolamento, la autonomia della responsabilità singolare. Delle combinazioni originali fra vite e progetti, tante situazioni creative quante sono le persone "responsabili". Questo atteggiamento nel guardare agli oggetti, nel momento in cui li abbiamo posti uno accanto all'altro, ci ha fatto capire che la caratteristica principale della nostra raccolta è l'eterogeneità. Sono tutti oggetti che "non fanno sistema", alcuni da leggere nella loro estetica, altri nell'antropologia, oppure come documenti, autobiografie, spinte in avanti, visioni, usanze, memorie ed errori, una umanità oggettuale multiforme.
La curiosità, l'attenzione storica e progettuale ci ha condotti verso l'interesse "in sé" di ogni singolo oggetto, ci ha portato a tessere una mappa estesa al di là dei luoghi, degli autori più o meno noti, delle tipologie, funzioni, produttori, fossero designer, artigiani, industrie, artisti o auto-produttori. Una capillarità geografica per trovare riti, contenuti, valori, simboli, con sconfinamenti nell'arte, nella storia e nel folclore. Anche cose note, ma viste sotto una luce diversa, per capirne un altro senso. E poi i caratteri di originalità, di promiscuità, estrosi, autonomi, magici, letterari. Fuori dalla prassi. I punti di forza cercati al di là della terminologia economica (mercato, moda, produzione, consumo, bisogno, compratore, ragione e tecnica), e nell'autonomia sconcertante del sogno, dell'allusione, della metafora e del feticcio. Oggetti come protagonisti e generatori di leggende.
Gli oggetti esposti hanno l'aspetto vitale e misterioso dei reperti. E' come avere via via puntato un periscopio su elementi di archeologia contemporanea, un puzzle dal quale comporre un tutto. Quando una ricerca è condotta fuori dalla organizzazione tradizionale della disciplina e degli strumenti scientifici deputati, essa scioglie i parametri canonici, e reinventa visioni fresche, destrutturate e intime della creatività. E' una destilizzazione, un cambiamento attraverso la micro-estetica, è l'informale galleggiamento di attenzioni, di desideri, di pensieri, di formule e di contenuti inaspettati. Il sistema combinatorio produce idee impreviste. Con un vago riferimento al situazionismo, le tecniche e le teorie di comunicazione di questo Terzo Museo si basano pure sul metodo dello straniamento: presa di distanza dall'esistente, lievi spostamenti della rappresentazione della norma, apertura ad interpretazioni insolite di fatti abituali, perdita dell'unità di misura, scivolamento dei linguaggi da un contesto all'altro. Collocare ed accostare gli oggetti in scenari inconsueti, privandoli del loro senso originario, è un processo ossigenante, lubrifica le energie, è un'apertura liberatoria. Non solo è un metodo per "fare storia", ma è pure un metodo per "fare progetto". Ho sempre lavorato in maniera pulviscolare. Il puntinismo è un metodo. La qualità del singolo elemento prelude alla qualità del tutto, della folla (di oggetti e di persone). Il pulviscolo vibra, è fluido e leggero. E in questo Terzo Museo ogni punto è come un atomo, un mondo piccolo, ma pieno di potenziale, singolare e complesso, rotante dentro a più grandi orbite. E' l'ipotesi di assemblare parti contrastanti e disorganiche, non l'illusione di proporre un'armonia. Il tempo della sintesi delle arti è passato e non ritorna. La scena oggi è fatta di spezzoni da assestare, è il retro del palcoscenico tragico delle nostre vite.
Gli atomi proposti nel Terzo Museo sono tutte "figure" e "presenze" fisiche e mentali (non virtuali), tutte dotate di tradizionale e ferma oggettualità, di identità italiana. Sono degli interlocutori carismatici per l'osservatore: sono icone di enigmi, purezza, racconto, fragilità, lentezza, dolcezza, simpatia, sogno. L'oggetto nel Terzo Museo è sotto analisi, una lente lo ingrandisce e lo pone gelido all'evidenza: in quanto COSA e in quanto PSICHE.

Alessandro Mendini