Colloquio con Pontus Hulten

Alessandro Mendini, Domus 638, 1983

Quando hai lasciato Parigi per Los Angeles hai dato l’impressione di essere al terzo capitolo della tua carriera di direttore di grandi musei: la California, dopo il Centre Pompidou e Stoccolma. Ora, la tua improvvisa decisione di allontanarti quasi da Los Angeles per dedicarti all’Esposizione Universale di Parigi del 1989 ci lascia meravigliati.
Il Museo di Arte Contemporanea di Los Angeles è ormai ben avviato. D’ora in poi vi passerò solo metà del mio tempo. Quest’autunno apriremo un museo temporaneo progettato dal californiano Frank Gehry, che sta trasformando due bei vecchi magazzini vicino a dove sarà costruita la sede definitiva.
Avevi in programma una grande mostra «In the collection of...», che sarebbe stata, attraverso i prestiti di otto grandi collezionisti, un panorama eccezionale dell’arte dal 1940 a oggi. Sarai in grado di farla? Che ne sarà del progetto di Isozaki per la sede definitiva del museo?
Questa mostra si farà, e indicherà la prospettiva per la futura collezione permanente del museo: presenterà 105 artisti con 160 opere, ed esaminerà il concetto di collezione, il ruolo del collezionista e il rapporto tra collezionista e artista; dovrebbe inaugurare il 22 ottobre 1983. La seconda grande mostra sarà «Automobile e cultura», nell’estate dell’84, e coinciderà con le Olimpiadi di Los Angeles. Sarà costituita da quattro parti: una retrospettiva sul design dell’auto; una sezione sull’automobile stravagante; una selezione di circa 250 opere (quadri, disegni, sculture) aventi per tema l’automobile; infine una sezione che esaminerà l’influenza dell’automobile sulla vita, l’architettura, il paesaggio. I lavori per la sede permanente nel centro direzionale di Los Angeles inizieranno quest’estate, e il museo verrà riaperto nel 1986. Arata Isozaki sta preparando il progetto esecutivo, che è stato approvato da tutte le autorità (Consiglio di Amministrazione del Museo, direttore, rappresentanti della città, il costruttore). È un bell’edificio, progettato da un grande architetto. La polemica dell’estate scorsa è completamente risolta: Isozaki ha completato i disegni in stretta collaborazione con noi, ed è stata un’esperienza molto interessante.
Il Commissario Generale Bordaz ha scelto per il suo staff dell’Esposizione Universale gli stessi collaboratori che aveva quando era presidente del Centre Pompidou: Claude Mollard e René Guillot per l’amministrazione, Renzo Piano per l’architettura, e te per le arti visive (con l’aggiunta del tuo amico Gregotti). Non hai l’impressione di ripetere la stessa esperienza, una specie di Beaubourg-bis?
Quando da Parigi mi fu offerto di lavorare all’Esposizione Universale del 1989, non potei dire di no. Questa mostra celebra il bicentenario della rivoluzione francese e il centenario dell’esposizione che, tra l’altro diede a Parigi la Tour Eiffel. Ho accettato per diverse ragioni. La prima è che credo che il museo di Arte Contemporanea sia in buone mani e ormai avviato. Inoltre la gigantesca avventura di una fiera mondiale mi ha sempre affascinato, e non ho saputo resistere a questa possibilità. È un grande piacere, ed è anche piuttosto rassicurante lavorare con vecchi amici alla preparazione di questa manifestazione. La nostra prossima esperienza può non essere una ripetizione di quanto fu fatto al Beaubourg. Una fiera mondiale non è un museo: implica decisioni a lungo termine di grande importanza per lo sviluppo urbano, architettura di tipo sperimentale, informazione audio-visiva su vasta scala, impulso a opere d’arte di tutti i tipi. Ci serviremo di mezzi di comunicazione molto diversi tra loro, tutti di grande interesse.
Credi che la spinta provocata dal grande evento del 1989 sia capace di creare una mutazione prammatica del pensiero poetico, di esprimere uno «spirito nuovo» segnando la fine dell’ipotesi post-moderna e dell’ideologia del decoro in architettura, design e pittura?
Credo che questa esposizione potrebbe essere un’occasione di incontro tra il grande pubblico e l’arte e la scienza, pari per importanza alle grandi mostre del secolo scorso. Credo anche che debba essere sviluppata una nuova forma di solidarietà tra le nazioni, ricche e povere, e che questo sia importante quanto una comprensione più profonda tra l’uomo e la natura. Una fiera mondiale è forse l’unico luogo in cui questi sogni possono essere espressi.