Colloquio con Emilio Ambasz

Alessandro Mendini, Domus 639, 1983

Colloquio con Emilio Ambasz
Tu fai cose molte diverse: disegni mobili, nuovi motori diesel, grafica tridimensionale, giardini incantati; scrivi saggi e favole; organizzi importanti mostre e convegni; presiedi The Architectural League. Qual è la parola che collega tutte queste attività?
«Inventare».
Tutti sanno che in te vivono due nemici: Emilio e Ambasz. Forse Emilio rappresenta l’architetto visionario e Ambasz l’industrial designer pragmatico?
Ambasz è un uomo preoccupato, perché vuole che i suoi prodotti siano bene accolti dagli uomini. Emilio è una persona angosciata, perché spera che la sua architettura lo renda gradito agli angeli.
Nei nostri brevi, ma intensi e continui incontri, tu usi sempre le parole «paura», «mito», «furore». Inizia da queste parole il tuo progetto?
Credo profondamente che l’architettura e il design siano atti mitici. Credo che il loro compito reale inizi quando i bisogni funzionali e comportamentali sono già stati soddisfatti. Gli oggetti sono creati per le esigenze delle nostre passioni e della nostra immaginazione: non è la fame, ma sono l’amore e la paura, e qualche volta la meraviglia, che ci fanno creare. Il principio poetico è la base del nostro creare. L’atmosfera in cui si muovono il designer e l’architetto può essere cambiata, ma il loro impegno, credo, rimane lo stesso: dare forma poetica a ciò che è pragmatico.
Le tue case sembrano sottomarini, semi-sommersi in grandi prati verdi da dove emergono poche essenziali parti calme, classiche, rarefatte. Sono case che escono dalla terra verso il sole, o invece stanno scomparendo?
Permettimi di osservare che sebbene alcuni dei miei progetti usino la terra, pochi sono sottoterra. Cerco di sviluppare un vocabolario architettonico che sia al di fuori della tradizione canonica dell’architettura. La mia architettura è un allestimento scenico che fa da sfondo ai drammi dell’attività umana. È un’architettura che c’è e non c’è. Con ciò io spero di mettere l’utente in un nuovo stato esistenziale, una celebrazione della maestà umana, del pensiero; della sensazione. Sebbene apparentemente nuovi, i progetti sono permeati di idee primitive e antiche. Il risultato è un’architettura che sembra durare per l’eternità. A volte immagino il mio lavoro come fosse costruito dall’ultimo uomo della cultura attuale per il primo uomo di una cultura che non è ancora arrivata.
Come uomo e come autore non rispondi a schemi prevedibili e sembri assolutamente inafferrabile; tutto va trovato dietro alla metafora e alla tua aggressiva timidezza. Sono famose le tue favole per progettisti: forse che ogni tuo progetto è simile a una favola?
Più che semplici racconti di fate, le favole e l’architettura che creo sono impregnate di misticismo. Da un lato gioco con elementi pragmatici che provengono dalla mia epoca, come la tecnologia. Dall’atro propongo un diverso modo di esistere. Una ricerca di cose essenziali - nascere, innamorarsi, morire - cose certe che sempre muovono il cuore, cose eterne che ritornano sempre. Hanno a che fare con l’esistenza su un piano emozionale, passionale e sensuale.
Tu occupi una posizione contraddittoria e individualistica nell’architettura moderna. Il tuo lavoro include il bizzarro e il pratico, la storia e il futuro, il monumentale e l’invisibile. Tuttavia sotto tutti questi elementi c’è un senso di funzionalismo ingegneristico.
Ho una mente molto meccanica. Sono ossessionato dalla ricerca dei principi generatori, dai quali ha origine ogni altra cosa. La mia sollecitudine funzionalista è quella di un giardiniere più interessato alla genetica che all’ingegneria. Come creatore ammiro e invidio il potere dei semi, di dare la vita e di conservarla. Mi interessano le cose che sono quasi eterne. Ma, in realtà, mi piace parlare pubblicamente solo di rubinetti e costi al metro quadro - che, come tu sai, sono cose importanti.
Non ho mai capito: sei allegro o triste, socievole o solitario?
Ambasz è un triste socievole. Emilio è un allegro solitario. Io, in cambio, sono allegramente triste e socievolmente solitario.
Fra cento anni vorresti essere ricordato come designer, minimal artist, agricoltore, filosofo o architetto?
Come poeta.