Natura รจ morta. La materia plastica

Alessandro Mendini, Report R, 1985

Semplificando, il mondo naturale non esiste più. Il mondo è diventato tutto e completamente artificiale. La foresta, il mare, il cielo sono dei lontani fantasmi poco interessanti: la vera “naturalità” dell’uomo consiste nel procedere del suo metodico programma dl allontanamento dalla natura.
L’aria pura, I cibi, genuini, i panorami autentici fanno male a noi uomini moderni, a noi “robot sentimentali”: Non ci piacciono, né li sappiamo usare.
Sono, scomparsi i confini fra il vero e il falso, tutto è diventato finzione, persone e cose sono oggi come il souvenir di se stesse, il bisogno di “maschera” è enorme.
In questo contesto, la PLASTICA è il multiforme materiale perfetto a risolvere il bisogno di ambiguità. La plastica, lo dice la parola stessa, è così priva di identità da averne all’opposto infinite. Finta pelle, finto legno, finta seta, finto marmo, finto coccodrillo o tartaruga: non esiste avventura più bella, per un progettista, che quella di calarsi nell’uso di questo materiale visionario, imprendibile, caramelloso. Lo stesso uomo del museo delle cere è stato sostituito dall’uomo iper-realista di plastica, più vero del vero. E alla rovescia, oggi addirittura succede che i materiali vari, per essere credibili ancora, debbano sembrare finti: la pelle viene stirata, lucidata e colorata come fosse plastica, il legno viene ricostituito e sintetizzato e mescolato alle resine. Il marmo viene incollato in fogli sottilissimi a lastre di plexiglas, ogni realtà deve perdere l’odore di natura, fare un bagno di neutralità dentro la plastica, accettando di rendere promiscua la propria identità, pena il dimenticatoio. Una cosa è vera se sembra finta ed è finta se sembra vera. Con la plastica si moltiplicano addirittura le specie di fiori artificiali di plastica (i fiori di massa) non assomigliano a semplici garofani, rose o margherite; con essi si creano ex novo famiglie più complesse, più colorate e più espressive: l’idea è di scavalcare e superare la fantasia della natura. Ecco allora un miraggio da Re Mida: quello di trasformare tutto il mondo, tutta la casa magari non in oro, ma in plastica. Ed ecco, a reazione di questa esigenza limite, spuntare nell’uomo post-moderno l’esigenza opposta: quella di graffiare con le unghie nella terra alla ricerca della terra “vera”, la necessità profondamente antropologica di un ritorno arcaico alle origini, alla foresta selvaggia. Nella crudele e violenta foresta metropolitana e informatica, il robot sentimentale cerca di differenziarsi. Non più cose fatte solo di plastica, non più idee di massa, non più oggetti di serie ripetuti all’infinito tutti uguali a se stessi: ma diversità, ritualità, eclettismo. E in questa introversione, in questo sguardo verso le forme lontane, lo stesso materiale plastico si sfuoca, diviene una sorta d antiquariato “istantaneo”, un fenomeno “autenticamente falso”.