Antiquariato istantaneo

Alessandro Mendini, Abitare 1986

Antiqu-ariato, modern-ariato e subito dopo, per conseguenza naturale e diretta: “futur-ariato”. Che vuole dire qualcosa di molto sottile e perverso: cioè destinare al rito del collezionismo mobili e cose prima che diventino oggetti reali e concreti, quando essi sono ancora “dentro” la testa dei loro progettisti, mettendo a disagio la tranquillità delle loro notti e delle loro coscienze (“sto progettando un oggetto di design o uno di antiquariato?”).
Il collezionista, morboso del suo autore, acquista a rischio le opere non ancora disegnate, così come il collezionista di farfalle ha il pallino anche delle loro larve...
Allora: la caducità dei valori, crescente oggi a girandola (o a gorgo) ci porta dritti dall’antiquariato del passato remoto (archeologia), agli ormai troppo soliti stili del normale passato storico, alla curiosità del neo-passato (quello vissuto personalmente), infine al brivido del neo-futuro. Cioè, all’“antiquariato istantaneo”.
L’istantaneità antiquariale di un prodotto (ma anche di una persona!) dipende infatti dall’ottica estetica, affettiva, commerciale e d’uso con la quale ad esso si guarda: un mobile appena fatto può essere inteso, assieme, sia come oggetto utile (“di design”) sia come oggetto antico (ovvero prevalentemente carico della sua storia espressiva).
L’aumentare parabolico dei cambiamenti del gusto (la moda) conduce a una specie di “circolarità del tempo”, all’azzeramento temporale del concetto di antichità, a concepire la possibilità di oggetti, per così dire, “senza tempo”, cioè fuori moda in partenza. Così che già oggi, in epoca di post-modernariato, è lecito vedere sbucare dal cervello di un designer, come nuovo, uno sgabello babilonese magari fatto di acciaio...
Ma questo bisogno generale delle persone (non solo degli iniziati) di sottoporre a un processo di invecchiamento accelerato e precoce anche ogni cosa appena uscita luccicante dalla fabbrica, corrisponde al desiderio di riempire le stanze di casa con oggetti già vissuti, usati e consumati da altra gente, “souvenir” ricchi di memorie di luoghi, di culture, di civiltà e di pensieri.
Fra il dimenticatoio della soffitta, il deposito del rigattiere e l’appartamento “filologico” del grande antiquario internazionale, i confini sono concettualmente incerti, mentre affiora sempre più ambiguo il problema dell’ “autenticità”: se accetto l’atteggiamento “a girandola”, devo preferire un tavolo rococò “finto-moderno” (opportunamente fatto in serie di antiquariato industriale), oppure è meglio un tavolo “finto-antico” di uno dei tanti Maestri del Movimento Moderno (fatto, sia ben chiaro, in riproduzione artigianale)?
Insomma, per concludere: che differenza passa fra un mobile “falsamente autentico” e uno “autenticamente falso”?
La domanda non chiede risposta.