Artforum. Column n. 1

Alessandro Mendini, Artforum 1986

Artforum 1° art.

Succede spesso ormai di entrare in una mostra di design, e di non capire se invece si è dentro a una mostra d’arte: la novità consiste nel fatto che oggi l’oggetto di design si confonde con l’oggetto d’arte.
Sta nascendo un nuovissimo fenomeno nel mondo del design, specialmente in Europa e in particolare in Italia, quello che potrebbe essere definito come “Design Pittorico”, oppure, che è lo stesso, come “Pittura Progettata”.
Cercherò di spiegarne le motivazioni.
Ci sono due parole fra loro opposte: le parole “dipingere” e “progettare”. Sembra che oggi il desiderio di alcuni sensibili giovani designers sia quello di “dipingere” invece che “progettare”. Dipingere vuole dire infatti emettere dei segni (diretti e senza intermediari), svolgere un libero e continuo movimento del pensiero visivo. Ovvero il dipinto (la azione di disegno ornamentale) è una cosa molto diversa da quello che tradizionalmente si intende come progetto, perché non comporta ipotesi di previsione, di organizzazione e di uso. Il compito della pittura “non c’è”, il suo unico e sintetico status consiste tutto nel porsi come comunicazione di sensazioni, come fenomeno del consumo di sé, come elencazione di valori solo personali. La motivazione del dipinto non sta nella sua efficienza, la sua realtà consiste tutta nella bellezza (amore) con cui esso viene elaborato, nella poesia che esso contiene.
Se il designer oggi non trova obiettivi certi, se “non sa” cosa e per chi e perché progettare, se sa che il suo progetto vero e istituzionale è chiuso al futuro, se non sa pensare a trasformazioni generali e razionali e a visioni globali del mondo che gli consentano di ipotizzare un’utenza, allora egli si concentra in se stesso, cerca pezzi di pensiero visivo dentro di sé, con la sola idea di fare vivere il dipinto, la sua vocazione espressiva, al di là della funzione. Egli decide di intendere anche l’architettura e l’oggetto tridimensionale come fossero pittura, come “attrezzi” di pura realtà visiva. Inteso come pittura, questo fenomeno è “freddo” (in quanto anti-pittura); inteso invece come design il fenomeno è “caldo” (in quanto anti-design).
Una attività, una visione poetica del mondo adatta al NUOVO UOMO DECORATIVO, a quell’uomo che oggi, alla fine delle ideologie, ha conquistato e raggiunto una positiva “superficialità” di genere estetico, neo-astrattista.
Al progettista pittorico non interessano le discipline quando sono considerate all’interno delle loro norme. Anzi, per lui è importante indagare nei grandi spazi liberi esistenti fra di esse, non gli occorre sapere se sta facendo pittura, scultura, architettura, arte applicata, teatro o altro ancora.
“Pittorico” è il comportamento che agisce al di fuori del progetto, in uno stato di neutralità disciplinare e concettuale, che adotta metodi di ideazione e di produzione “confusi”, dove possono mescolarsi artigianato e informatica, tecniche, metodi, forme, materiali e tradizioni attuali e inattuali.
Questo gioco pittorico infradisciplinare è stretto dentro al rigore delle sue regole. La sua polemica è solo pittorica. I giochi linguistici si intrecciano, si combinano all’infinito nell’astrazione delle linee e delle superfici disegnate, in un sistema valido all’interno di sé. Il vagare indeterminato della mente dà luogo alla elaborazione di meccanismi rappresentativi di genere “trattatistico”, nell’attitudine eterna dell’uomo artefice, che il designer pittorico fa sua, a ridisegnare incessantemente le matrici dell’immagine del mondo. Questa novità europea, che compare sempre più insistente nelle mostre di design, da Düsseldorf a Barcelona, da Milano a Stuttgart, si propone come polemica anti-funzionalista.
Il designer-artista gioca solo la carta dell’arte, dando come scontata l’esistenza della funzione. E la carta estetica è giocata per via post-moderna, cioè come in un cerchio: tutto quanto vi accade di forme, materiali e colori è forse gia avvenuto, con altri sensi, in altre culture ed altri luoghi della grande storia delle arti applicate.
Data l’insufficienza del progetto “vero” a fronteggiare il mondo, esso viene sostituito dalla “visione” personale del progettista: un’opera continua, senza fine e senza giustificazione.