Colloquio con Shama e Tarshito

Alessandro Mendini, 1986

Alessandro Mendini -     Alla conoscenza dei vostri oggetti ci si arriva, più che analizzandoli nel loro linguaggio, cercando di capire la motivazione di pensiero che ci sta dietro. E i pensieri sembrano moltissimi. Mi sembra che giochiate con problematiche grosse: religiosità universale, vita e morte, sentimento, anima, pace e dolcezza.
Allora domando a Shama che cosa è per te la vita, che cosa la morte.
Shama -    La vita è uno spazio di tempo che permette di realizzare dei sogni, realizzare la luce, la grandezza interiore. Voglio espandere la mia energia in un modo sempre più creativo per dare gioia a me e alle persone che sono vicine a me. E questo mi sta succedendo anche attraverso il lavoro perché credo che il coinvolgimento di me stessa e delle persone che mi stanno attorno abbia il livello di tensione che desideravo. La morte è un fatto con cui mi misuro tutti i giorni, perché la vita ha valore solo se in relazione con la morte. Non voglio aver paura di morire e il lavoro e l’amore e tutto quello che mi piace fare cerco di viverli il più intensamente possibile per non lasciare niente in sospeso.
A.M. -     Per istinto mi è venuta voglia di fare questa domanda sulla vita e sulla morte a te, Shama, e a te, Tarshito, voglio fare una domanda sul progetto, forse con una distinzione arbitraria sulla vostra coppia di lavoro. Dato che io non ho questa binarietà tra occidente e oriente, ma sono un pensatore solo occidentale, ti faccio delle domande occidentali. Che cos’è per te il progetto? Esiste o è un’altra cosa? e poi perché lo fai? e per chi? e che cosa fai?
Tarshito -    Il nostro progetto è molto unito alla nostra vita, partiamo sempre dal nostro bisogno che è quello di entrare sempre più nella nostra interiorità. Progettiamo mobili per uomini nuovi e antichi, per uomini interi. Facciamo oggetti al di là di ispirazioni cristiane, buddiste o induiste per cercare una nuova religiosità. Sperimentiamo, attraverso il progetto, posizioni classiche yoga o posizioni di classico piacere. Mobili per uomini guerrieri e donne amanti. Sperimentiamo la vita attraverso anche al progetto. Parlando del nostro progetto tu dici che usiamo parole grosse come pace, amore, eccetera. Io vorrei dirti che non sono parole né grosse né piccole. Sentiamo che sono gli unici argomenti di cui parlare, che appartengono al centro della vita, non potremmo parlare di altro. Almeno in questo momento vogliamo essere abbastanza precisi, duri, anche rischiando di essere compresi male. Pure i mobili e gli oggetti possono, devono parlare dei momenti fondamentali dell’uomo.
A.M. -    A proposito di quello che dici, nella storia, gli architetti filosofi hanno messo da parte la ricerca linguistica, che poi è l’elemento costitutivo di un oggetto architettonico o di un mobile, per caricarlo di filosofia. Parlo di Gaudì, Steiner, l’architettura indiana ed altro.
Questo è un modo di concepire l’oggetto al di là della propria struttura linguistica, di attrezzarlo di una iconografia descrittiva, un po’ interiorizzante, un po’ estetizzante, un po’ esoterica, per cui la lettura dell’oggetto è difficile in termini critici. L’oggetto diventa quasi uno strumento ideologico, politico, sacrale, dove l’indicazione al rito cui conduce eccede sull’entità stessa dell’oggetto. Allora questi oggetti da attività mistica, da comportamento anti-funzionalista diventano quasi un discorso dimostrativo?
S. -    Durante il lavoro di preparazione per questa mostra ho visto gli oggetti mentre prendevano forma, e a volte ho paura anch’io che essi siano ideologici, alcuni oggetti è come se fossero raccontati a voce alta per paura di non essere ascoltati, ma oltre la provocazione c’è la speranza che questi oggetti possano muovere qualcosa dentro alle persone.
T.-    In questo momento è così, però abbiamo dei progetti quasi assenti con un immagine meno forte senza eccessi di segni.
S. -     Ci sono comunque degli oggetti umili nel loro messaggio come il normale quotidiano degli uomini, per esempio abbiamo avuto una proposta di disegnare un oggetto di ceramica per un industria e questo è molto interessante perché abbiamo la possibilità di rendere rituale un oggetto normale.
A.M. -     Quello che osservo nei vostri progetti è che sono fatti con pochissimi materiali scelti molto precisamente: ferro rame e ottone cioè tre metalli, un tessuto che è di lana, pietre rare e legno. Datemi una motivazione di queste scelte.
S. -    Il rame è un buon conduttore di energia, il ferro rappresenta l’epoca della distruzione che stiamo vivendo - KALJUGA -, le pietre sono la madre terra.
A.M. -     Questi materiali così antichi hanno una loro così forte carica di immagine, che costringe l’oggetto ad escludere la propria ambiguità, e penso cioè che i vostri oggetti non siano ambigui. È giusto questo?
T. -     Il messaggio è talmente ampio che va dato in maniera più precisa possibile. L’ambiguità non è un argomento che ci appartiene perché gioca sulla confusione della comunicazione. Il nostro lavoro tenta di andare dritto verso il centro, veloce mente.
A.M. -     Circa la problematica del comportamento quotidiano questi oggetti tendono a sostituire l’oggetto direttamente funzionalista. Per quanto riguarda la semplificazione delle azioni di mangiare, riposare, eccetera, con una nuova ritualità delle funzioni quotidiane molto più meditativa, molto più introversa che possa condurre l’uomo che vive questi oggetti ad essere cosciente di quello che compie. Oggetti come modo di accompagnare l’andamento della vita, provocando sensazioni di allargamento, di calma, di perfezionamento. Vorrei che mi parlaste ancora su questo argomento.
T. -     In alcuni mobili che abbiamo realizzato abbiamo sperimentato le varie altezze dei piani di seduta, per esempio degli sgabelli altissimi che per usarli bisogna proprio volerci arrivare. In questo momento si dà per scontato tutto, il mangiare, il sedersi, non si ha più la coscienza del corpo in relazione all’oggetto e a quello che si sta facendo, noi cerchia mo di cambiare o trasformare quello che ormai si da per scontato.
S. -     La gestualità intorno agli oggetti, per esempio per sedersi bisogna salire, oppure sedersi molto in basso, questa posizione cambia il fluire della circolazione del sangue e dell’articolazione del corpo. Oppure dei nuovi gesti, arrivare in casa e accendere il fuoco e l’incenso nel braciere che purifica lo spazio dalle energia negative. Questi gesti in alcuni luoghi sono già naturali perché vengono tramandati così da sempre, esistono delle discipline quotidiane eterne, questa è la ritualità che noi cerchiamo nell’oggetto.
T. -    La ritualità ripescata in varie culture, l’ombrellino birmano che protegge mentre sei seduto dandoti un immaginario orientale un po’ buddista, il tavolo con sette absidi per mangiare con le guglie gotiche quindi un immagine religiosa cristiana. Ci piace sentirci parte di tutto il mondo anche attraverso le religioni.
A.M. -    Vorrei fare una domanda sul vostro senso della preghiera e sulla presenza di fenomeni immateriali come l’uso di suono e odore.
T. -     Il mio tentativo di pregare è la capacità di poter vivere nel presente senza proiezione del passato o aspettativa del futuro, senza avidità, il mio avvicinamento alla preghiera è questo tentativo di essere qui e ora totalmente.
A.M. -    Ma pregare non vuoi dire sentire il bisogno di dire delle cose ad una entità che poi fisicamente non ti risponde?
S. -    Questa entità con cui si cerca di entrare in contatto che appare lontana e non risponde, in realtà è dentro di noi. In questo momento abbiamo la possibilità di riconoscere che Dio siamo noi, Dio è morto perché non è più fuori ma è dentro.
T. -    I campanelli, i suoni, i profumi e questi materiali cosi arcaici e mitici ci offrono la possibilità di sperimentarci divini. Questa è la mia preghiera e il mio modo di pregare. Io sento che tutti possiamo essere molto divini se riusciamo ad entrare in contatto con la nostra parte eterna. I suoni, gli odori, i materiali, le immagini e i gesti quotidiani possono aiutare a metterci in contatto con questa energia.