Artforum. Column n. 3

Alessandro Mendini, 1986

Fra i materiali naturali (ferro, ceramica, legno...) e i materiali sintetici (o plastici o ambigui o “innaturali”) esiste una grande differenza concettuale, se non addirittura ideologica. La competizione esistente fra i materiali offerti direttamente dalla natura, e i nuovi materiali “fatti su misura” proprio per le esigenze di specifici oggetti, pone addirittura in discussione i principi e le regole dell’invenzione progettuale.

La nuova identità dei materiali, il loro totale cambiamento, la loro rivoluzione silenziosa, modificano completamente il nostro approccio culturale al mondo dell’oggetto.
I materiali storici, nella loro grane tradizione, ebbero una forte identità; nel radicale mutamento dell’idea di materiale, l’identità è stata sostituita dal suo opposto: i nuovi materiali sono invece privi di identità, sono manipolabili, disponibili a tutto, rappresentano continuum di infinite possibilità.
Oggi il designer, prima di progettare un oggetto, progetta liberamente il suo materiale. Una volta invece l’artigiano costringeva la forma del suo oggetto dentro le rigorose regole di un preciso materiale pre-esistente.
Ma dove sta il salto ideologico? Sta in questo fatto: che il mondo naturale non esiste più, che il mondo è diventato tutto e completamente artificiale. La foresta, il mare, il cielo sono dei lontani fantasmi poco interessanti: la vera “naturalità” dell’uomo consiste nel procedere del suo metodico programma di allontanamento dalla natura. L’aria pura, i cibi genuini, i panorami autentici fanno male a noi uomini moderni, a noi “robot sentimentali”. Non ci piacciono, né li sappiamo usare.
Sono scomparsi i confini fra il vero e il falso, tutto è diventato finzione, persone e cose sono oggi come riflesse nello specchio, In questo contesto, la PLASTICA è il multiforme materiale perfetto per risolvere il nostro bisogno di ambiguità e di simulazione. La plastica, lo dice la parola stessa, è così priva di identità da averne all’opposto infinite, da farci dire che “oggi, ogni immagine è possibile”.
Finta pelle, finto legno, finta seta, finto marmo, finto coccodrillo o tartaruga: non esiste avventura più bella, per un progettista, che rifiutare il concetto classico di ispirazione, calandosi nell’uso di questo materiale visionario, imprendibile, caramelloso, oscillante fra il solido, il liquido e il trasparente. Lo stesso uomo “di cera” del museo delle cere è stato sostituito dall’uomo iper-realista “di plastica”, più vero del vero. E alla rovescia, oggi addirittura succede che i materiali tradizionali, per vivere una seconda giovinezza, per essere nuovi e credibili ancora, debbano sembrare finti: la pelle viene stirata, lucidata e colorata, ed ha ancora valore solo se sembra di plastica, il legno viene triturato ricomposto sintetizzato e diverso da sé stesso, il marmo viene tagliato in fogli sottilissimi e usato come fosse un laminato leggero, ogni realtà deve perdere l’odore di natura, fare un bagno di neutralità, accettare di rendere promiscua la propria identità, pena il dimenticatoio. Aldo Rossi disegna un tavolo che è fatto di marmo ma che sembra il tradizionale vecchio tavolo di legno; Robert Haussmann disegna una soffice stoffa che sembra di marmo. Una cosa è vera se sembra finta ed è finta se sembra vera. Con le materie sintetiche si moltiplicano addirittura le specie. I fiori artificiali (i fiori “di massa”) non assomigliano a semplici garofani, rose o margherite; con essi si creano ex novo famiglie più complesse, più colorate e più espressive; l’idea è di scavalcare e superare la fantasia della natura.
Ecco allora il miraggio del designer moderno: quello di trasformare tutto il mondo, tutta la casa magari non in oro, ma in plastica. Ed ecco, a reazione di questa esigenza limite, spuntare nell’uomo post-moderno, l’esigenza opposta: quella di graffiare con le unghie nella terra alla ricerca della terra vera, la necessità profondamente antropologica di un ritorno arcaico alle origini, alla foresta selvaggia. Nella crudele e violenta foresta metropolitana e informatica, il robot sentimentale cerca di differenziarsi. Non più cose fatte di sola plastica, non più idee di massa, non più oggetti di serie ripetuti all’infinito tutti uguali e se stessi: ma diversità, ritualità, eclettismo. E in questa introversione, in questo sguardo verso le forme lontane, lo stesso materiale plastico, così giovane e così agnostico, entra in crisi con se stesso….