Jamahiriya

Alessandro Mendini, Flash Art 1987

Assieme all’atelier Alchimia, mi è capitato di dovere disegnare le idee di alcuni edifici a carattere politico per il governo della Libia: un centro congressi per il raduno dei comitati rivoluzionari internazionali, e un quartiere accanto all’aeroporto di Tripoli la cui forma, a chi arrivi in aereo e osservi dall’alto, sia quella della sacra parola “Jamahiriya”, che vuole dire “Libia Araba Popolare e Socialista".
Abbiamo avuto in studio, evidentemente, una discussione etica, e ci siamo posti dei problemi di coscienza, così come doveva avvenire quando, nell’epoca barocca, un pittore riceveva l’incarico di riempire un’intera chiesa con soggetti di retorica religiosa. E nel ragionare su queste cose, abbiamo fatto delle simulazioni, ci siamo inventati dei committenti: per lo stesso Gheddafi abbiamo disegnato un mobile, e poi una rivoltella, delle bombe a mano, una madonna con bambino, delle stoffe decorate con visi di negretti, eccetera. C’è una frase molto significativa di Hegel che dice “il quadro religioso è solo pura pittura: le ginocchia non le pieghiamo più”. Tutti i problemi dell’arte e del progetto sembrano oggi chiusi ermeticamente dentro sé stessi, l’arte perde il suo legame diretto con l’esistenza sociale e politica, la nostra unica moralità di operatori sembra quella di vederci impegnati solo “all’interno del campo delle immagini”.
Il Centro, vero e pulsante, dell’esistenza di oggi sono la scienza e la politica; e l’arte, spostata ai margini, divenuta un fenomeno superfluo, mantiene il suo splendore e il suo stato di necessità solo se resta fedele al problema astratto della sua stilematica. Bisogna emettere immagini e non ideologia: sta in questa restrizione disciplinare l’importanza e la salvezza dell’arte oggi. Anche nel passato, quando l’arte era in posizione centrale rispetto alla problematica generale dell’esistenza, la “qualità” morale della committenza era di natura diversa rispetto a quella dell’artista: tale profondo stacco è una caratteristica storica che si perde nei tempi. Anche Michelangelo trovava nei Papi l’occasione per sviluppare i suoi linguaggi, come Albert Speer trovava in Hitler la possibilità di vedere costruite le sue ciclopiche visioni urbane. Le istanze profonde del “credo” di un artista hanno sempre dovuto transitare, per riuscire a realizzarsi, attraverso le dure strade dell’indifferenza o del cinismo verso il potere. Ma se il grande committente del passato fu spesso illuminato da importanti ipotesi utopiche, ben diverso è quello contemporaneo. Il nostro tipico committente, in realtà, è sempre molto banale, un ente amministrativo, un uomo politico, una istituzione culturale, un mercante, una struttura industriale, inadatti o impossibilitati ad esprimere esigenze idealizzate, capaci solo di pensare a breve termine, in dimensioni ristrette, su piccola scala, per problemi minori. La qualità eroica, in questa frammentata committenza di intrighi, la qualità ciclopica deve essere introdotta in solitudine dall’artista, che ha il compito di strumentalizzare l’incarico ricevuto, spostandolo dalla dimensione contingente verso un’idea duratura e generale. Sembra che fra politica e arte debba stabilirsi un rapporto di reciproco amoralismo: un connivente “moralismo anti-morale” che permetta all’artista di lavorare nel vuoto pneumatico della sua ricerca, e al committente di assorbire nell’indifferenza istituzionale, nel sistema delle merci, la carica eversiva presente nell’opera richiesta. In questo flusso e riflusso di energie, l’arte si sposta periodicamente dal margine al centro dell’esistenza. Destra e sinistra, ricchi e poveri, violenza e bontà stanno fuori dal rigido laboratorio dell’artista, perché egli sa che un rapporto diretto e iconografico con le realtà della politica, della religione o dell’ideologia si traduce oggi in inutile nostalgia. Egli, come un funambolo, trasforma ogni committenza “sporca” in una “pura” auto-committenza, reinventandosi i valori dell’opera, riscattandosi in un gioco, compiuto tutto “in vitro”. Infatti egli sa che solo sulla qualità del suo linguaggio egli verrà giudicato.