Chambre Souvenir

Alessandro Mendini, 1987
"Nouvelles Tendences: les avant garde du XX siecle", Centre George Pompidou, Parigi, Aprile 1987

Questa stanza è concepita come fosse un museo di oggetti della fi ne del ventesimo secolo. È una stanza “souvenir”, che concentra e accumula una collezione di opere pensate non in funzione del loro uso, ma come esempi adatti ad indicare un possibile modo di addentrarsi verso la problematica del prossimo futuro. Un modo di “progettualità esistenziale”, cioè l’idea di un comportamento emozionale nel design, di una “pittura vagante” capace di sovrapporsi ad ogni cosa, per trasformare (per mimetizzare) il mondo intero in un enorme oggetto decorativo. La “chambre souvenir” non è una stanza conosciuta: non è un soggiorno, non un ufficio, non una camera da letto. È invece un magazzino infra-funzionale temporaneamente abitabile, adatto a un’epoca di profonde trasformazioni tipologiche dei modi di vivere, disinteressata al presente, ma in bilico fra souvenir del passato e del futuro. In effetti, si prepara un mondo “decorativo”. Se si coniuga la fine delle ideologie con l’avvento dei linguaggi informatici, si misura l’importanza che assumono oggi le forme senza contenuto e i giochi interni ai codici. Le ideologie si annullano fra loro, le certezze svaniscono assieme ai progetti politici. Lo spazio e il volume non rendono più visibile nessuna funzione o legittimazione tecnica, rappresentano anzi la loro assenza. Il progetto viene iscritto nella pittura, ma essa stessa è progettata: astratta, fredda, neutra, semplice, senza prospettive, senza rapporti con i movimenti contemporanei. Essa, a sua volta, in nessuna maniera deve significare: genera lo spazio, l’architettura e gli oggetti, non utilizzando alcuna singolarità funzionale. Vige l’idea del cambiamento, perché delle cose importa più la mutazione che la stabilità, più l’indeterminatezza che la certezza. Cedere alla totale decoratività del mondo significa prendere atto che gli uomini non sono in grado di comunicare nel profondo, che nella sostanza sono solitari, ma che quello che può entrare bene in circolo fra loro è la superficie, la “profondità del superficiale”. La decorazione è una esibizione di massa, un caos controllato, dove la vita si propone come fantasia, quella che il mondo razionale ha negato. Ma il disincanto dell’uomo lo garantisce dal rischiare fantasie troppo intense: l’accelerazione dei tempi, che fa scadere ogni valore nello stesso istante in cui viene proposto, conduce verso un flusso infinito di cosmesi universale, una pellicola pittorica sui corpi, sugli oggetti, sugli edifici e sul mondo. Ci sono infatti due parole fra loro opposte: “dipingere” e “progettare”. Credo sempre di più che si debba “dipingere” invece che “progettare”. Dipingere vuole dire, semplicemente, emettere dei segni, svolgere un libero e continuo movimento del pensiero visivo. Il dipinto (il disegno ornamentale) è una cosa molto diversa dal progetto, perché non comporta ipotesi di previsione, di organizzazione e di uso. Anche l’architettura o l’oggetto tridimensionale possono essere intesi come fossero pittura, disegni, come attrezzi scenografi ci, come pura realtà visiva.
Il compito della pittura, il suo status consiste tutto nel porsi come comunicazione, come testimonianza sentimentale. La motivazione del dipinto non sta nella sua efficienza, la sua “bellezza” consiste tutta nell’amore con cui esso viene proposto, nell’anima che esso contiene. Se non ho obiettivi certi, e oggi non ci sono obiettivi certi, se il progetto è chiuso al futuro, se non so pensare a trasformazioni generali e razionali, allora mi concentro in me stesso, cerco pezzi di pensiero visivo dentro di me, con la sola intenzione di fare vivere la vocazione poetica. Non mi interessano le discipline quando sono considerate all’interno delle loro regole. Anzi, è importante indagare nei grandi spazi liberi esistenti fra di esse.
Non occorre sapere se si sta facendo scultura, architettura, arte applicata, teatro o altro ancora. La pittura agisce al di fuori del progetto, in uno stato di neutralità disciplinare, dimensionale e concettuale. Vale l’ipotesi che debbano convivere metodi di ideazione e di produzione “confusi”, dove possano mescolarsi artigianato, informatica, tecniche, materiali, forme e tradizioni attuali e inattuali. Vale il concetto di “variazione”. Data l’insufficienza del progetto a fronteggiare il mondo, esso viene sostituito dal dipinto, che diventa un’opera senza principio, senza fine e senza giustificazione, una formalistica rete di stilemi e di riferimenti visivi. I giochi linguistici si intrecciano, si combinano e si ripetono nei decori degli oggetti disegnati, in un sistema valido solo all’interno di sé. Il vagare indeterminato della fantasia dà luogo alla costruzione di un meccanismo rappresentativo, nell’attitudine eterna dell’uomo a ridisegnare incessantemente l’immagine del mondo e le sue matrici ornamentali. La pittura è un ciclo: tutto quanto accadrà è già avvenuto, e la fantasia individuale può percorrere in tutti i sensi ogni cultura e luogo.