Per Milella e Pagnelli

Alessandro Mendini, 1987

Come transfuga (quasi) del progetto costruito, amo tutti i “sogni di design”. C’è bisogno, oggi, di oggetti lontani, molto lontani. Mentre la vita (e le idee) si muovono troppo vorticose, certi designers-poeti lavorano e lavorano su PROGETTI ANTIDOTO, pensano a un ambiente diverso dalla crudeltà del “costruire” e della “serie”. Realizzano degli “oggetti-paradosso”, unici, isolati, completi e definiti “in sé”.
Sono “cose” immaginarie, oggetti mentali collocati su luoghi ideali, immersi in spazi-tempo che sprofondano nei cieli della metafisica. Il design, si sa, non coincide solo con l’opera industriale, e è di oggi la polemica fra design “realistico” e design “artistico”, da quando è emerso come fondamentale (nella valutazione di un progetto) il gradiente filosofico che esso sottende. Il design non si dà più come oggetto reale, ma si dà in quanto RAPPRESENTAZIONE: il disegno (o la pittura, o la scultura) di un oggetto coincide con l’opera in quanto “opera”, il progetto è una essenza autonoma che rappresenta sé medesima. Progetto e oggetto si sovrappongono, la comunicazione stessa diventa design. Il design assume l’aspetto di una SCULTURA OGGETTO, l’ambiente prende i connotati di uno SPAZIO ARTE, il rapporto fra vero e falso diviene ambiguo, la realtà si trasforma in una apparizione, in un souvenir dell’oggetto e dello spazio stesso: il design diviene “artistico”. Penso che le ipotesi delle mostre “EX” e “Scritture per un nuovo design” formulate da Milella e Pagnelli, si muovano parallele a queste osservazioni. Sarà così, se i lavori presentati non si daranno in quanto “rendering” elaborato sull’idea del disegno e del rilievo tecnico tradizionale, ma se si proporranno come DISEGNI DI DESIGN. E se rifletteranno i vari, meccanismi e le molte e sfuggenti attitudini del progetto di oggi: turbolenza stilistica, trasformismo, cleptomania, aggressività “dolce”, banalizzazione, manierismo, frammentazione caleidoscopica, vocazione alla promozione intensa del messaggio; DISEGNO uguale PROGETTO uguale OGGETTO uguale COMUNICAZIONE. Perché, in fondo, non interessa molto se si sta facendo un disegno o un oggetto, o una scultura, architettura, scenografia, arte o altro. Basta agire sotto un impulso visivo, al di fuori del progetto, in uno stato di neutralità disciplinare, dimensionale e concettuale. Tutti i metodi di ideazione e di produzione possono mescolarsi: da quello manuale a quello industriale a quello informatico. Perché l’elemento coagulante è altrove: sta nel concetto di CONTINUA VARIAZIONE.
Il “disegno di design” è un’opera osmotica fra i vari autori, e all’interno dello stesso autore, è un’opera senza principio, senza fine e senza giustificazione, una rete elastica di stilemi e di riferimenti visivi. I giochi linguistici si intrecciano, si combinano e si ripetono in sistemi validi solo all’interno di sé, nel viaggio ERRANTE di una libera fantasia, assieme allegra e tragica. Al limite, un incessante lavoro di “assenza di pensiero”, che si dà come vuoto e pura meditazione, come convenzione (potrebbe essere altro), come esperienza sensibile e non in quanto espressione logica: DISEGNO COME RESPIRO.