La pittura “Banale"?

Alessandro Mendini, Flash Art 1987

Proposta per la più grande mostra di quadri di tutti i tempi.
Questa è l’idea per una mostra di pittura, che credo irrealizzabile, e cioè: della “Mostra di tutti i pittori viventi del mondo”. Di tutti coloro intendo, che nel mondo “si ritengono pittori”. Il possibile luogo, immenso, che propongo capace di contenere questa mostra (cioè la mostra di quadri più grande di tutti i tempi) è la MURAGLIA CINESE. Una mostra di milioni e milioni di pittori. Un’idea utopica, e anche un “appello”.
Mi capitò di sostenere, tempo fa, che ogni persona del mondo è designer, è progettista. Infatti ogni persona della Terra, in modo più o meno attivo, è creatrice dell’organizzazione del proprio “intorno progettuale”. Proponevo di rendere ufficiale, e socialmente e culturalmente motivata, l’esistenza di un “design banale”, legato alla stupidità diffusa, e al suo pieno diritto di esistenza (stupidità intesa in maniera positiva, come intende Musil nel suo “Elogio della stupidità”).
Con la idea di questa mostra, espongo qui il diritto all’esistenza di una PITTURA BANALE, e sostengo che ogni persona del mondo è pittore, può essere protagonista del proprio “intorno estetico”.
Parlare di banale, vuole dire attribuire un significato a qualsiasi tipo di gusto, accettare che esiste di diritto, per tutti, una estetica generalizzata, si tratti di pittura, scultura, architettura, design, letteratura, musica, cinema o altro. Se si considera il banale come un’ottica vasta e aggiornata per interpretare la cultura materiale che ci circonda, allora può essere breve il passo verso una metodologia di estetica banale, cioè verso un iper-banale culturalmente noto a sé stesso. L’esplosione del banale è a catena: perché non sfruttare il rapporto naturale, intimo e mitico che si instaura fra l’uomo e l’oggetto cosiddetto “brutto” in qualsiasi società di massa? A un uomo banale, oggetti, quadri e case banali: esaltazione paradossale delle convenzioni, trionfo dell’autentico mancato, ribaltamento del gusto, disponibilità a una finzione estetica corrispondente alle situazioni della vita normale: non impegnative, non drammatiche, accattivanti, rilassanti. Banale significa la presa di coscienza del quotidiano, è il rapporto esistenziale dell’uomo con l’estetica spicciola, con l’uso capillare delle informazioni, è una sorta di immagine speculare dell’arte. Il banale è un fatto politico direttamente legato alla forza della classe media, è il mezzo delle masse per appropriarsi delle arti. Il banale piace all’uomo di massa perché è fatto da lui stesso, perché è un fenomeno di quantità per definizione, perché ha la caratteristica di rifiutare l’isolata intelligenza del capolavoro. E proprio perché capace di instaurare, ora per ora, le relazioni assieme “vere e false” dell’uomo con le immagini che lo circondano, il banale rivela di essere quella certa estetica, quella reale capacità creativa, quel modello formale che si stabilisce davvero nel maggior numero di individui. Banale è arte adattata alla vita di tutti e di tutti i. giorni. Il banale dunque è una presenza fortissima, ineliminabile, geograficamente estesissima e vincente: tanto vale trarne vantaggio a favore di un nuovo personaggio: il “piccolo borghese da fine secolo”, l’uomo nuovo della rivoluzione informatica. Proponiamoci un obiettivo che sembra assurdo: quello cioè, di ottenere in una pittura il “massimo possibile di cattivo gusto”, come dire il minimo possibile di qualità estetica. Cerchiamo di raggiungere questo obiettivo, così come fa l’uomo banale quando vuole dipingere il quadro per la mostra alla Muraglia Cinese. Egli vi introdurrà una serie di regole, stilemi, forme e materiali tratti e elaborati dall’infinito mondo della “fantasia banale”, tipica dell’uomo di massa. A modo suo l’obiettivo è rivoluzionario: infatti la tradizionale retorica e sostanza del dipinto cui nessun artista viene meno, è quella che lo vuole demiurgico nei confronti di un fruitore da elevare all’uso di un’opera supponente e paternalistica da educare alla comprensione di un oggetto che non gli appartiene intellettualmente. Con il proposito che ci siamo dati, invece, l’operazione è opposta, perché i criteri ideativi sono tratti dalla realtà di quel “quotidiano visivo” che già appartiene di fatto al mondo piccolo borghese, quella realtà infinita di immagini minori così come le ha selezionate, organizzate e indirettamente elaborate e volute l’uomo di massa: quell’uomo di oggi, cui va attribuita una sensibilità creativa che rifiuta l’astrazione del messaggio elitario, a favore del verismo del proprio gergo. Lo stile raggiunto nel creare il QUADRO BANALE (“il quadro di tutti e per tutti”, il quadro come souvenir di se stesso) sarà caotico, esuberante, ironico, psicologico, arcaico, impotente: ma sarà anche lo stile non violento di quel “quadro di massa”, tipico di un uomo estraneo ai messaggi del terrorismo culturale.
La coscienza della impossibilità di una ipotesi estetica estesa alla massa conduce alla formulazione della ipotesi opposta, quella anti-estetica.
A questo modo la pittura banale e la amoralità stilistica possono essere intese come pensiero rivoluzionario, e ciò mi induce a lanciare l’appello per la mostra sulla Muraglia.