Philippe Starck

Alessandro Mendini, 1987

La Francia è in stato di euforia. Da troppo tempo le mancava il suo messia, l’eroe nazionale del design, estroverso, con i suoi necessari “tic”. Eccolo finalmente! È Philippe Starck, anzi “STAR-STARCK”. Egli può piacere oppure no, ma una cosa è certa: Starck è un “fenomeno”.
La storia del design francese, come tutti sanno, non esiste. Oppure se esiste, assomiglia a un triste palazzo con grigie finestre, da dove i progettisti francesi degli ultimi decenni hanno visto passare l’allegro “corteo del design”, stando appunto alla finestra, senza prendervi parte. Sulla strada in festa, fra i protagonisti italiani, tedeschi, giapponesi e americani, di francesi non ce ne era nessuno. Ora nel corteo c’è anche Philippe Starck. A bordo di una Citroen. Cambiando metafora: ora nel buio del design francese brillano due stelle comete, due possibili riferimenti: Starck e Citroen (...e forse anche Renault...). Non so bene dire, e nemmeno mi interessa tanto, se Starck mi piace oppure no. So invece che esiste, e questo mi interessa invece molto: per il design francese, e per il design in generale.
Qual’è il segreto progettuale, il richiamo sociologico, il fascino estetico degli oggetti di Starck? Cosa si nasconde di sottile dietro al suo personaggio, e all’ombra della “bandiera rossa” che egli sventola, con lo stemma di un umoristico doppio viso che ride e assieme piange, simbolo di affettuosa ambiguità? Il Nuovo Design, con Alchimia e Memphis, è stato colorato, decorato, romantico, eccedente, esasperato. Gli oggetti del Nuovo Design sono per definizione impraticabili, la rottura con il funzionalismo è stata ecologica, polemica e traumatica. Starck, invece, è uno dei responsabili del design Nuovo-Nuovo.
Data per scontata la vittoria compiuta dai gruppi radicali contro il design tradizionale, Starck non trova necessario politicizzare il suo lavoro. Egli progetta istintivamente sui dati e con i metodi del mondo tardo-industriale, per un uomo “post-di-massa” divenuto un “consumista-di’-clan”, raffinato utente di oggetti post high-tech, di strumenti miniaturizzati, dl monocromi spazi rarefatti. Starck individua con precisione questa committenza “diversa” rispetto a quella tipica del Bel Design, e provoca uno scatto generazionale al sistema di oggetti da lui progettato. Propaganda divistica del suo ruolo, sovrapposizione fra il progetto e la sua immagine pubblicitaria, applicazione delle regole del marketing non solo ai propri oggetti ma al suo stesso personaggio; queste caratteristiche, tipiche del più aggiornato management, fanno di Starck un neo-post-professionista del design del tutto originale (e affascinante), sulla scena un po’ vecchia del design, così come esso ci è tramandato dalle consuetudini. Starck, allora, è un anti-conformista della professione-designer, così come lo sono quelli del Nuovo Design: ma mentre quelli rifiutano elitariamente i contatti con la committenza, arrivando sulla spiaggia del prototipo fine a se stesso e perciò al pericolo del modernariato, Starck ricarica i suoi oggetti di una vitalità post-consumistica, assolutamente innovativa. Il significato è preciso: l’oggetto è un amico dell’uomo, un simpatico compagno sorridente, non un predicatore un po’ troppo saccente... L’estetica è precisa: l’oggetto è uno strumento facile, grazioso ma anche sofisticato... La filosofia è precisa: tutti gli uomini, per essere felici, devono assaporare il piacere di “possedere” un oggetto di Philippe Starck!
Sugli oggetti di Starck, come sul regno di Re-Sole, non deve mai tramontare il sole! (...non importa se non siamo d’accordo, tanto Starck è una forza della natura...).