Per Emilio Ambasz

Alessandro Mendini, 1988

Non so bene chi sia, in realtà, Emilio Ambasz, perché come uomo e come autore non risponde a schemi prevedibili. Penso che egli sia, innanzitutto, una persona dotata di una aggressiva e impaurita timidezza. Poi che egli sia un delicato poeta. Poi un artista di land art. Poi un agricoltore/ingegnere di tipo biblico. Poi un furioso giocoliere. Poi un pioniere che progetta l’aspetto dì una mitologia rovesciata, di un sofisticato Paradiso Terrestre per la modernità. O forse mi sbaglio. Perché invece Emilio Ambasz può essere un abile e potente finanziere, che fa il meccanico ascoltando musica di Monteverdi. Oppure un replicante che sparge sul nostro globo memorie di altri mondi evanescenti. Oppure un profeta ostinatamente “Anti-Maestro”. Oppure un empirico scopritore dì “uova di Colombo” (per esempio di geniali “vertebre” per le sedie...). Oppure... I suoi lavori; grandi come incontaminati territori geografici o piccoli come flessuose penne a sfera nel taschino, giocano a sfuggire da noi e da se stessi, sembrano tanti Narcisi che specchiano la loro immagine sull’acqua ammirati e divertiti. La loro seduzione avviene per sottrazione di forme e colori a favore di praterie, alluvioni, valli, fiori, tramonti, giardini pensili e cielo, i suoi colori sono quelli del Tiepolo, bianco azzurro verde e oro. Allora non solo come autore ma anche come persona Emilio é un “caso”: imprendibile, inclassificabile, ricompare sempre sotto altra veste. Instancabile inventore di metafore, principe azzurro delle sue stesse favole, mistico di una ritualità, di un cerimoniale e di una astrologia da lui stesso create, Emilio ci concede una sola certezza: quella della sua assoluta singolarità e originalità fra gli umani. Privo di padri e di rimbalzi culturali, egli addensa i suoi tanti drammi e contrasti dietro all’unico sud tratto evidente: la sua ironica ma tragica, dura ma fragile, cinica ma amorosa coerenza di gentleman, formalista dell’epoca super-sonica. Sembra essere stato un bambino antico e arcaico vestito in doppiopetto trovatosi a fare il precoce adulto solitario, oggi è un adulto pieno di esperienza che mantiene gli occhi curiosi del bambino. Per tentare di conoscerlo (impresa, come insisto, impossibile) bisogna partire dalla sua coscienza invece che dalla sua troppa intelligenza, dalla trama della sua esistenza invece che dalla determinatezza sicura del suo progetto. Emilio è un essere “ubiquo” il suo genius loci è l’intero pianeta. Nello stesso giorno vive e pensa a New York, in Asia, in Europa, in America Latina. Pertanto non si può seguire la sua vita automaticamente avvolta dalla leggenda, misteriosa come quella di un gatto che ora, e quasi assieme, vedi sonnecchiare immobile sopra al caminetto, sul davanzale e sotto al letto. Come è possibile, infatti, conoscere un essere dalla “infinita immobile mobilità”? Vari spiriti abitano dentro al corpo ibrido di Emilio: ne escono ogni mattina come teneri uccellini dal nido, volano negli universi più lontani a proporre empiriche magie, a risolvere bisogni, a compiere esperienze incantate, e poi tornano per essere accolti, rianimati, per trovare protezione nel loro nido comune, nel loro “contenitore forte”, il Signor Ambasz! Ambasz replicante, bambino, gatto, uccellino, nido... Come persona, come professionista e come artista questo signore, allora, è proprio un caso irripetibile. Il suo molto e complesso lavoro non sembra amico dell’accademia, della storia canonica dell’architettura, del design e dei linguaggi; ma sembra nascere dalla ossessiva ricerca dei principi generatori, da una pacata e saggia osservazione del reale, dalla identificazione di problemi umanistici, così come li può captare uno strumento iper-sensibile quale Emilio stesso è: una sorta di sensore fantasioso e scrupoloso che arriva al nocciolo delle questioni, delle esigenze immaginifiche e tecniche di uomini e gruppi, che registra il senso originario, le scosse antropologiche e ecologiche della terra moderna. Pragmatismo passionale opposto al semplicismo funzionalistico, forse una lontana parentela con l’anti-monumentalismo ciclopico di Fuller. n progetto di Emilio non è post-moderno, il suo vocabolario non è fatto di frasi e citazioni, ma libero dalla caducità di mode e stili si pone come principio e metodo, come idea archetipica, pura e primaria, come invenzione sintetica, basica e minimalista: “un arco è un arco è un arco; un uomo è un uomo è un uomo”. E una casa è un concetto che contiene il passato e il futuro, l’inizio e la fine di tutte le memorie abitative, vere e surreali. Il suo gioco è più adatto allo studioso di genetica che all’architetto: consiste nel risolvere la funzione senza costruire l’oggetto corrispondente, nel fare architettura senza realizzare l’edificio (un’architettura che c’è e non c’è), nel progettare strutture prototipiche e concettuali invece che stilistiche, nel concepire non il progetto dell’artificio, ma l’utopia del riprogetto totalizzante della natura stessa. Per questo i materiali del suo “non stile” sono i mulini a vento, le enormi serre dorate e trasparenti, le zattere galleggianti, le nuvole sfuggenti del vapore prodotto apposta sopra a una piazza, le piante rampicanti mentre crescono a formare un porticato, i segni (simili ai serpentelli di Kandinski o ai virus nei microscopi) che ricamano i prati rasati da dove emergono ville invisibili e rarefatte come i sottomarini... Ma dopo tanta fatica per capire, ecco che escono pochi - ma forti e sicuri - messaggi dal cilindro del nostro prestigiatore! e cioè: Emilio crede profondamente che architettura e design siano atti mitici, che il loro vero compito inizi là, dove i problemi pratici sono già risolti. Gli oggetti servono alle esigenze delle passioni e dell’immaginario: non é la fame, ma sono l’amore, la paura, la meraviglia che fanno creare! Allora l’architettura di Emilio è un allestimento scenico che fa da sfondo ai drammi della attività umana, è un ponte fra l’ultimo uomo della cultura attuale e il primo uomo di una cultura che non è ancora arrivata, è una celebrazione della maestà umana, del pensiero, della malinconia, della sensazione. L’uomo di Emilio è impregnato di misticismo, dì nuove tecnologie e di software, applica un diverso modo emozionale, passionale e sensuale di esistere, si basa sulle idee primitive del Nascere/Innamorarsi/Morire, cose certe che sempre hanno mosso il mondo, cose eterne che sempre ritorneranno... Chi è allora forse Emilio, per finire? È un sognatore che dedica cuore e cervello “agli uomini mentre pensano agli angeli”? Oppure...