Per Maddalena Sisto

Alessandro Mendini, 1988

Esiste un genere di artisti la cui vocazione (acuta, istintiva e univoca) é quella di riempire dei fogli bianchi con esili linee paradossali, ironiche caricature (prevalentemente in penna e in bianco e nero), che “‘captano” l’intorno ambientale (persone, oggetti, luoghi) restituendolo sotto forma di calligrafia critica: di radio-grafia, a psico-grafia, cardio-grafia dei fenomeni del costume. La capacità di questo genere di artisti nello svolgere la loro ossessiva “missione di documentazione sociale e ludica” é proporzionale (curiosamente) alla “somiglianza” che essi stessi, in carne ed ossa, hanno con i loro sintetici e scheletrici personaggi. In effetti, autori come Steinberg, Brunetta, o Novello non fanno altro ritrarre se medesimi (con masochismo e crudeltà), e porre i propri corpi come “Protagonisti-Pupazzi-Cavia”, agenti stralunati del mondo che vanno ossessivamente indagando.
La somiglianza di Maddalena Sisto ai pupazzi, alle ragazze che disegna è davvero notevolissima. Un’infinita serie di schizzi (centinaia di buffe, storte, affascinanti, attonite, eleganti, allungate, accartocciate Maddalena Sisto) agghindate e progettate nelle maniere più diverse (e strane) si sparge e popola molti giornali, e si moltiplica in migliaia di copie, quasi a “sacrificarsi” sulla pista (sull’altare) di un circo equestre di carta, invisibile e frammentato, esploso.
Perché sotto il sorriso e il grazioso segno satirico, sotto l’autoritratto talvolta infantile, Maddalena Sisto espone (e vive, credo) il dramma del clown, la graffiante violenza del continuo esporre se stessa alla vista e al giudizio del suo pubblico, al di là del racconto.
L’iper-sensibilità è una pratica diretta, un privilegio che lascia sempre un segno profondo.