Il gesto di abitare

Alessandro Mendini, Interni n° 409-1991

Arredare vuol dire “vestire” il corpus dei locali nudi con cose che cambiano e si rinnovano sul corpo più stabile della casa. Il gioco scenico che si svolge nei locali è infinito, coincide con i momenti del romanzo della vita. il suo risultato sfugge sempre al progettista. Quello di “abitare” è un gesto umano naturale. Un gesto di vita, accurato e ospitale. Ne è diretta conseguenza il gesto di “arredare”. Queste due azioni, tra le tante compiute dall’uomo, oltre ad essere le più belle e perverse sono anche fra le più obbligate. Ogni persona che esiste abita sempre, abita comunque. Deve organizzare i suoi giorni e le sue notti dentro a quei grandi oggetti indispensabili che sono le case, e dentro a queste mettere in ordine le sue attività, i desideri, i ricordi, il lavoro. Ecco allora l’arredamento, cioè la situazione mentale e fisica essenziale alla nostra realtà di abitanti. Si può anche vivere in stanze completamente vuote, ma quale innaturale atto di severità sarebbe, e poi cosa si farebbe in una stanza vuota? Perché l’arredamento è una specie di impollinazione che il corpo umano compie sul suo spazio ravvicinato, una specie di grande sicurezza concava sulla nostra pelle, dove mobili, oggetti e abiti fanno da strumenti di raccordo fra la persona e il mondo. Facciamo un esempio, guardiamo il soggiorno di casa. Esso non è quel locale sciocco che spesso si crede, deputato alle “funzioni” del pranzo (tavolo, sedie, credenza) e della conversazione (divano, poltrone più televisione). Il soggiorno oggi è una vera e propria centrale per le comunicazioni a distanza, un piccolo locale “grande” come l’universo, il locale per diventare ubiqui. Al quale contrapporre un locale opposto, quello della solitudine e del silenzio. Sono spezzoni di una situazione labirintica. Cioè le parti di una “dimora ideale”, quello status abitativo condensato ma centripeto, destinato a non concludersi mai, ad essere sempre uguale ma sempre diverso da se stesso. Questo tipo di casa, oggi,  non è appariscente, è una specie di riferimento minimal a ciò che il altre epoche fu la grande dimora. Più che un’opera di composizione è una sommatoria, un puzzle, un mosaico di pezzi di vita. è una “apertura”, una sequenza sospesa che  non domina l’abitante, un paesaggio mntale più che spaziale, esistenziale e psicologico invece che fisico: un “non progetto” che conduce a una dimora sensitiva, disponibile, eterea, fiabesca, esplosa, dilatata.