Franco Summa
Alessandro Mendini, 2003
Da molti anni Franco Summa ed io intrecciamo dei contatti, magari non frequenti. Parliamo, discutiamo, ci scambiamo opinioni. Il motivo mi è piuttosto chiaro: sebbene con metodi progettuali e con esiti visivi diversi, tuttavia noi perseguiamo obbiettivi, poetiche ed utopie molto simili. Lavoriamo con gli stessi elementi. E così come nel mio lavoro ci sono stati, dall’epoca del “radical” ad oggi, molti cambiamenti, ripensamenti e maturazioni, anche l’opera di Summa è cambiata assieme al vertiginoso capovolgimento del mondo negli ultimi trenta anni. Dinamiche, eppure anche statiche le nostre due esperienze. Nulla di più diverso delle nostre abitudini culturali, ma comunque un continuo, istintivo, fertile e divertente gioco di rimbalzi e ammiccamenti. Prima di tutto il colore, inteso da entrambi come bacchetta magica per l’intero creato, matrice fondativi dell’immagine del mondo, energia positiva per l’umore dell’umanità. Il colore derivante dalla scissione dello spettro fisico per lui, mentre per me il colore inteso come ingrediente prevalentemente psichico: il suo colore è, un colore politico, sociale e performatico, divenuto oggi addirittura materia per la bandiera rigata della pace, il mio è un colore invece inteso come estensione concettuale ed esplicitazione dei problemi della mente. E poi l’architettonicità di tutte le cose: grandi o piccole che siano, le cose si presentano per noi sub specie architettonica, spaziale, volumetrica. Uno spazio geometrico ed ambientale per lui, uno spazio interiore e cosmico il mio. Comunque per entrambi l’uso di composizioni simili a scalinate, colonne, tempietti, piattaforme, ascese, ovvero l’iconografia primaria e subsimilare della costruzione e dell’appoggio delle cose.
E poi per entrambi la ricerca del simbolico, del riferimento arcaico, classico, mitologico e metafisico, da lui elaborato in termini aulici, composti, eleganti e simmetrici, da me giocato sul filo del paradosso, dell’ironia, della tragicità e della seduzione. Ma per tutti e due il bisogno di proporre oggetti come simboli, di cercare feticci, di testimoniare dei contrasti alla violenza del mondo, di proporre gli oggetti in termini di rito, di cerimonia, di calma e di lentezza.
E poi un altro atteggiamento, che rende paralleli il lavoro di Franco Summa ed il mio e cioè l’approccio al progetto secondo una visione globale, pensato come un fluido, come un fatto invasivo che si espande verso tutti i meandri dell’universo: le varie opere visive che noi facciamo, qualsiasi sia il loro carattere, la loro funzione, misura o destinazione, sono spezzoni di una comunicazione, di una utopia letteraria globale, destinata a coprire e rappresentare il mondo con la sua espressione poetica. Perciò la parola poesia, che tanto ricorre nel vocabolario di entrambi, proposta come tocco lieve ma come sostanziale formula, garante della salvezza del mondo, rovesciamento del trend tecnico ed economico che invece sta distruggendo il mondo. Poesia, simbolo e strumento della spiritualità dell’uomo. Il quale uomo, tanto Franco Summa che io, vogliamo far vivere in spazi, superfici e strade impostati sul senso artistico e pittorico dell’abitare: dilazioni di segni, di colori, di ornamenti, di figure. Spazi per lui spesso mitici e greci, per me trovati nei linguaggi delle avanguardie del Novecento. E un’altra osservazione, diversa e un po’ curiosa, sia unisce sia allontana le nostre due persone: e cioè il significato e l’etimologia dei nostri nomi propri che è indice dei nostri due destini. Il nome Summa indica sintesi, visione dall’alto , alloro, sguardo nobile, creazione diretta, impostazione aulica, posizione saggia e serafica. Il nome Mendini indica un mestiere medievale, quello dei rammendini, di coloro cioè destinati a riportare all’uso le cose già usate, riciclo infinito dell’immagine banale in un banale patch-work estenuante e senza fine. Questi nostri nomi propri ci rappresentano. E tradotti in abiti, maschere o costumi, troviamo Franco Summa vestito da antico greco e Alessandro Mendini vestito da Arlecchino.