Pierre Restany

Alessandro Mendini, 2003

Mi piace dire qualche cosa su Pierre Restany nell’esperienza personale con lui.
Restany è colui che, senza conoscermi di persona, mi propose per la direzione della rivista Domus. Di questo gli sono grato profondamente. Domus infatti è stata, nel bene e nel male, uno dei momenti più belli e importanti che ho avuto nella vita. Così da allora Restany è stato il mio consigliere fisso e fedele. In tanti viaggi e dialoghi fatti assieme, egli ha ribaltato spesso i miei sistemi di riferimento portandomi verso problematiche di cui non immaginavo l’esistenza o l’ampiezza.
Poco a poco Restany è diventato per me, una specie di sensitivo e ipersensibile innamorato... con la sua voce iniziatica, con i suoi occhi socchiusi, con la sua attitudine alla leggenda, con la barba biblica (o amazzonica?), e fra le dita il bicchiere, strumento basico della sua sopravivenza interiore. Lui, sottile analista di tantissimi suoi amici, artisti, intellettuali, architetti, banchieri, pazzi, anormali, selvaggi...
Con la natura di un apolide geografico, artistico, mistico, erotico, epocale, sociale, metropolitano, linguistico e politico, cioè antropologico.
I suoi grandi e piccoli fedeli accorrono, e giocano con lui un intreccio di frasi interrotte ma riprese nel tempo senza fine. Restany, il romanzo instancabile dell’apparato visivo che sottende alle forme di questo secolo.
Con la dimensione tragica su cui imposta l’esistenza. Con la disponibilità umana a dare e ricevere idee e pensieri che sottende una vocazione morale: il progetto di una vita solitaria. Quando si elegge tutto il mondo come propria casa, quando si fa in modo di non avere una vera dimora dove tornare, vuole dire che si è optato per un programma di indipendenza, realizzato attraverso la solitudine. Quella del saggio che interpreta, che seduce e conduce, ma che si nega in quanto maestro. Una scelta che si paga: magari rinunciando all’amore, alla felicità e al denaro.
Restany è un “critico eremita”. Il suo stato di ubiquità è un metodo che lo trasforma in un riferimento immobile nella galassia transitoria della critica d’arte.
Anche se è lui che ci telefona e viene fisicamente a trovarci, in realtà siamo noi che lo raggiungiamo nello spazio ipnotico del suo universo.
Spesso mi ha detto: “Sandro tu sei come una lucertola sul soffitto di una stanza, sembra che cadi e invece sei lassù”. E io allora: “Pierino tu sei come un serpente incantatore, tieni gli occhi chiusi e sfrutti, strumentalizzi la lunga barba bianca”. Ecco la nostra rispettiva gag.
Ed io, che ho pochi amici, mi sono sempre detto: Pierre è il mio solo, vero e intimo amico. In verità i suoi intimi amici siamo stati tantissimi, alla pari nel fruire della sua inesauribile abbondanza di idee. Prezioso a me, prezioso a tutti gli altri (e le altre!).
Mi chiedo talvolta se sia prevalso il personaggio o il critico dell’arte. In realtà Restany ha strettamente sovrapposto le due cose: è particolare per aver vissuto in toto il romanzo della propria persona di critico, rappresentando la performance umana di se stesso, recitando la sua commedia dell’arte visiva, nel ruolo assieme di attore, di sciamano, sacerdote, protettore, apostolo, messaggero, custode.
Pierre Restany non va perciò perimetrato. La sua sostanza è quella di un grande, avventuroso, preciso, specializzato inviato speciale dell’arte. Inviato dell’utopia cosmica dell’arte nella durezza del nostro mondo. Affabile, disponibile, generoso, esotico, illuminista, attento cronista. Una biografia fuori del tempo, l’aneddotica perfetta per un film su mezzo secolo d’arte.
Io e lui, per esempio, abbiamo avuto le nostre abitudini. Per anni sono andato a prenderlo all’Hotel Manzoni, a Milano. Era seduto nell’atrio con la sua fila eterogenea di artisti questuanti, non negava attenzione, rispetto, e uno scritto a nessuno, come a dei fratelli. Esaurita la fila io e lui andavamo al “Baretto” a mangiare. Sempre lo stesso tavolo, gli stessi suoi amici camerieri, deferenti e protettivi, lo stesso cibo goloso e colto, il suo; arido e omeopatico il mio. Sempre tanti pettegolezzi, chiacchiere, la sua ipnotica cantilena, risate da lacrimare. Argomenti: le novità sulle donne, in genere di ogni tipo, poi le diagnosi epocali, l’analisi politica, le mostre, gli stupidi e narcisi critici d’arte, gli elenchi dei possibili futuri direttori di Domus, le strategie…
Poi lo riportavo all’albergo, lo lasciavo lì, elegante nel suo abito sciupato, aspettavo che premesse il bottone dell’ascensore con la sua piccola mano. In quel ripetitivo momento sempre capivo che Pierre Restany, il romantico viaggiatore di una vita iper-vissuta, l’amico di tutti, era l’uomo più solo del mondo.