Metropolitana di Napoli. Salvator Rosa e Stazione Materdei

Alessandro e Francesco Mendini, 2004

I luoghi di Napoli interessati dalle stazioni della metropolitana da noi progettati sono di edilizia minore di piccola borghesia a Materdei, e di architettura degradata e di forte speculazione a Salvator Rosa. I terreni sono mossi e spesso anche scoscesi. Gli elementi ingegneristici - scale, ascensori, impianti, gallerie, mezzanini, edicole – si intrecciano nel suolo o emergono dal sottosuolo in punti spesso residuali, utili ai flussi e alla distribuzione delle persone, ma casuali rispetto alla logica di un progetto organico e sintetico.
Pertanto il progetto architettonico esterno e interno è pensato con carattere puntiforme e analitico, e proprio questa situazione ci ha condotto a due decisioni.
Una, l’idea di rendere evidenti queste molte piccole presenze tramite opere di artisti, eterogenee sia nei linguaggi che nelle tecniche, che poi di fatto hanno anche invaso intere facciate delle case adiacenti.
L’altra, quella di considerare i nostri interventi architettonici come presenze, nelle strade e nelle piazze, allegre e colorate, con materiali belli ma dimessi, adatte a fare da supporto intimamente integrato alle opere d’arte scelte, discusse e posizionate assieme agli artisti. Sono queste tantissime opere, infatti, a fungere da segnale visivo fondamentale della metropolitana – un parco dell’arte – coadiuvate da alcune guglie piramidali che generano una prospettiva a distanza, specchiante e gentile, a ricordo delle macchine da festa, dei presepi e dei trofei, così tipici della scenografia di piazze e strade napoletane in epoche lontane.
Ed è l’accostamento fra architettura e arte il senso di questi luoghi e grotte, un momento di sguardo nel camminare e nel viaggiare, dove l’immagine tecnologica delle rotaie e del transito è tenuta volutamente in sottordine.
Non perciò l’intenzione di un museo al di fuori invece che dentro all’edificio museo, ma la proposta di presenze urbane, di energia estetica, incontro positivo anche se frettoloso, lettura dinamica e performatica in analogia con quanto sempre avvenne nelle città del passato, con il bene e il male che il linguaggio contemporaneo comporta.
Da parte nostra si è trattato perciò di un lavoro di assemblaggio e di messa in rapporto eclettico di parti spesso culturalmente distanti fra loro, nell’idea anche di fare uscire gli artisti dal ghetto asfittico della galleria d’arte, riportandoli al ruolo e alle dimensioni dell’arte urbana.
L’idea di questo progetto è fragile (perché polverizzata) e radicale assieme (perché fonde due discipline). Essa introduce nello spazio cittadino un sistema di emozioni visive e rivitalizzanti, disseminate nella violenza e nel caos di banali tessuti edilizi.