Atelier Mendini e le mostre di Interni
Alessandro Mendini, 2004
Le manifestazioni di Interni “Essere
ben essere” nell’anno 200, “Interni in piazza” nel 2002 e
“Earthly Paradise”, nel 2003 sono state per l’Atelier Mendini
tre importanti esperienze.
Sono mostre che hanno permesso al
nostro studio di approfondire assieme a Interni un preciso
atteggiamento culturale. Partendo infatti dalla realtà della
produzione, ognuna di queste è entrata nel vivo di
problematiche e di responsabilità sociali ed estetiche ampie e
molto generali. Giocate, infatti, in parallelo fra le più
interessanti industrie e progettisti, hanno tutte avuto l’ambizione
di mettere a fuoco i nodi più delicati dell’attività
del design oggi: qualità della vita all’esterno e
all’interno della casa, utopie legate ad una crescita logica del
benessere, rapporto armonico fra produzione e consumo, attenzione
all’ecologia, ricerca di nuovi autori nelle più disparate
aree culturali del progetto, e molto altro ancora. Dal punto di vista
del progetto dell’allestimento, poi, la loro sequenza è
stata per noi una rara palestra di esperienze linguistiche, legate
sempre all’uso di materiali innovativi.
Il progetto di spazi, di strutture e
di contenuti effimeri - della durata provvisoria di una fiera, cioè
di solo alcuni giorni - permette una intensità di approccio
raramente consentita al progetto stabile e duraturo. Così come
in epoca barocca gli allestimenti e addobbi per le feste consentirono
straordinarie messe in atto di scenografie e marchingegni impossibili
nell’architettura reale, anche la storia dell’allestimento
moderno e contemporaneo favorisce espressioni sperimentali
inconsuete. Ognuna delle tre esposizioni di Interni da noi coordinate
è perciò stata una palestra “museale”, nel senso
che ci ha dato elementi forti sia per dichiarare dei contenuti, sia
per applicare nuove tipologie per mostrarli al pubblico, in un sempre
più stretto gioco di integrazione. E va detto che il delicato
equilibrio di valutare e sostenere i rapporti spesso delicati e
contrastanti fra le esigenze delle industrie e quelle dei molti
autori coinvolti, è stato orchestrato con maestria da Gilda
Bojardi, attenta, paziente e generosa. Queste tre mostre sono state
per l’Atelier Mendini una specie di trittico consequenziale:
nonostante la precisa identità di ciascuna di esse, un filo
conduttore concettuale le ha rese omogenee, non solo sul terreno
linguistico, ma specialmente su quello dell’apertura e delle
dinamiche verso nuovi scenari e orizzonti. C’è sempre stata
innanzi l’utopia di produrre degli spettacoli visivi che
permettessero a noi delle indagini mirate, ed al pubblico di agire in
esse, in una performance culturale che non fosse soltanto un
miraggio.