Un segno infinito

Alessandro Mendini, 2005

La punta della penna è sospesa a pochi millimetri dal foglio bianco. Il tempo di un baratro, poi il momento del contatto. Decidere dove indirizzare, dove fare scivolare la riga, il filo, la traccia. Quattro gli elementi in gioco: la testa, la mano, la penna, il foglio. E’ come un segno continuo e infinito quello che esce dalla mia mente attraverso la mia mano. Un inchiostro organico, un liquido umorale, necessario, che tesse le strutture, gli intrecci, i coaguli e i diagrammi della mia psiche. La nebulosa mentale si affolla ed esce attraverso la mia mano. Combinazioni di segni, di monotone e maniache varianti, fili leggeri, fragili, trasparenti, reti immateriali. Fili incerti, sentieri tremanti, cangianti, romantici, cinici, ironici, che poco a poco mi avviluppano, mi contengono come i protettivi filamenti di un bozzolo. Movimento della mano e del pensiero sul foglio, su e giù, andata e ritorno, veloce e lento, nervoso e calmo, vuoto e pieno, diritto e storto, girare, rigirare, ricamare. Grafie insistenti, ritmi, strappi, scacciapensieri, balletti della mano, orme insensate, ghirigori, parole isolate. Migliaia di chilometri percorsi e condensati dentro ai piccoli spazi bianchi: grovigli, attorcigliamenti, contrazioni, strisce, punti, cerchietti bandierine, crocette, pulviscoli, nebbie, visioni e fantasmi, orme, figure delle cose e ipotesi del mondo, variazioni del senso.