Enzo Mari

Alessandro Mendini, 2006

Moralista e demagogo distingue i buoni dai cattivi.  Morde solo  le ossa vere, pur sapendole spolpate. Non gli  interessa  più di tanto il progetto disegnato, se non come freccia da lanciare contro la logica illogica del meccanismo produttivo, come teorema per dimostrare le incongruenze del sistema. Gli interessa il progetto del progetto, anzi il progetto del progetto del progetto. Cerca, propone e medita solo sul «progetto dell’uomo». E questo vuole dire occuparsi di morale, magari attraverso gli oggetti. Mentre noi curvi sui nostri tavoli tiriamo le nostre righe di vana speranza, Mari, a intervalli regolari, ci fa sobbalzare con un tragico nuovo messaggio «finale», santo, severo, candido, alienato e concreto insieme: come la decomposizione della falce e del martello in quarantaquattro componenti informali, il manifesto gratificante impeccabile sulla «Merda», la proposta per la ripresa del lavoro artigianale nella porcellana, l’idea perché ognuno possa realizzare dei mobili con tavole grezze e chiodi, il vaso da fiori riciclato da una bottiglia in plastica di acqua minerale, l’ipotesi apocalittica di rifondazione globale del progetto.
Un inquisitore progettuale che lancia ecumenici appelli che arrivano nel fondo della coscienza dei designer.